“Leggerissime” elusioni della regolamentazione sulla caccia se paragonate ai numerosi casi di bracconaggio che nelle ultime settimane hanno superato ogni limite nella zona dei Lattari, come il caso del rarissimo esemplare di aquila minore sparato nelle colline tra Casola e Lettere e rinvenuto moribondo da alcuni agenti della guardia di finanza o come l’esemplare di Albanella Reale impallinata a Piano di Sorrento. Ieri invece a Gragnano è stato individuato un cacciatore fuorilegge che esercitava l’attività venatoria con l’ausilio illegale di richiami elettroacustici. Gli agenti del Corpo Forestale – che pur essendo in pochi operano in un’area vastissima – hanno proceduto al sequestro dell’arma, delle munizioni, del richiamo e alla denuncia a piede libero di G.D. (classe 65) per esercizio della caccia con mezzi non consentiti. Una guerra impari tra i pochi uomini del corpo forestale e i numerosi bracconieri che durante tutto l’arco dell’anno devastano il territorio mettendo trappole ovunque e sparando contro qualsiasi cosa si muova. Una situazione che diventa incontrollabile nel periodo venatorio quando alle azioni di intelligence contro i bracconieri si aggiunge la necessità di un controllo amministrativo anche delle centinaia di cacciatori dotati di regolare tesserino.
Sicuramente i casi di bracconaggio sono aumentati esponenzialmente in tutta Italia – basti ricordare le recenti uccisioni dei rarissimi esemplari di ibis eremita, rientranti in un progetto internazionale di reintroduzione della specie in Europa – ma le aree protette, tra mille difficoltà, riescono quantomeno ad ostacolare l’invasione dei cacciatori. Risultato questo che non riesce a raggiungere il parco dei Lattari. Ecco è questo il punto, anche nel parco regionale dei Lattari non si potrebbe affatto sparare e a sancirlo è innanzitutto la legge 157 del 1992, la legge-quadro sulla caccia. All’articolo 21, che elenca i divieti assoluti alla pratica della caccia, si può leggere: “è vietato l’esercizio venatorio nei parchi nazionali, nei parchi naturali regionali e nelle riserve naturali conformemente alla legislazione nazionale in materia di parchi e riserve naturali”. E’ dunque scritto a chiare lettere – ed espresso anche dalla normativa europea – nei parchi naturali regionali, proprio come il parco dei Monti Lattari, la caccia è vietata. A ribadirlo, ovviamente, ci pensa anche il regolamento del parco che tra le norme generali di salvaguardia dispone che è “vietato esercitare l’attività venatoria”. E allora, se questo divieto è palesemente sancito, come è possibile che nel parco dei Lattari oltre i bracconieri – che in quanto tali ci sarebbero a prescindere da ogni divieto – ci sono anche centinaia di cacciatori regolari ?
Per trovare la risposta dobbiamo fare un salto indietro di otto anni, nel 2008, data della storica (e tremenda) sentenza del Consiglio di Stato che accoglieva il ricorso presentato dai comitati dei cacciatori contro l’istituzione del parco regionale dei Lattari e di conseguenza contro il divieto di caccia. Una sconfitta campale per la Regione, per chi aveva creduto nell’istituzione del parco ma soprattutto per coloro che lottano per la tutela dell’area dei monti Lattari, luoghi di straordinaria valenza naturalistica, faunistica e paesaggistica. Si tratta di vicende che i cittadini, soprattutto i più giovani, nemmeno conoscono. L’assenza di un fronte civico compatto che si opponesse alla compattezza culturale dei cacciatori ha giocato un ruolo determinante, forse più dell’incapacità della politica di rimediare agli errori commessi. E’ pur vero infatti che la lobby dei cacciatori dei Lattari è molto forte, essa conta centinaia di adepti (anche giovanissimi) da Sorrento ad Amalfi, passando per Corbara, ma è anche vero che in questi anni sono cresciute anche generazioni di cittadini che non tollerano affatto l’uccisione indiscriminata di animali e la distruzione della natura solo per consentire l’hobby della caccia ad una parte minoritaria della collettività. Senza dubbio la caccia ha le sue utilità, ma rispetto alla questione Lattari non si tratta di valutare se la caccia sia utile o meno, sia giusta o no, bensì capire come sia possibile che normative comunitarie, nazionali e regionali siano così incredibilmente disattese.
Ritornando al merito della questione, nel 2003 la giunta regionale guidata da Antonio Bassolino con delibera numero 2777 approva l’istituzione dell’ente parco regionale dei Monti Lattari, un evento storico per la protezione ambientale di un’importante area campana, comprendente i 27 comuni della Penisola sorrentino-amalfitana, distribuiti tra le province di Salerno e Napoli. Il parco fin dall’inizio fu oggetto di numerose proteste ed opposizioni da parte delle lobbies di costruttori abusivi, cacciatori, inquinatori seriali e politici che si alimentavano dei voti di costoro. Una regolamentazione troppo rigida e poco concertata con l’esigenza (e le passioni) dei cittadini cacciatori, queste erano le motivazioni principali di coloro che si opponevano all’ente parco. Un territorio montano che per anni era stato (e purtroppo lo è tuttora) abituato all’anarchia e all’illegalità, dove a farla da padrona furono i latitanti delle guerre di camorra degli anni ottanta e novanta che resero quei territori off-limits, stroncando sul nascere molte delle potenzialità turistiche. Ai latitanti di ieri oggi si aggiungono bracconieri e narcos di sostanze stupefacenti. Nel 2004, ben 85 cacciatori si unirono in un comitato per presentare un ricorso al Tar di Salerno chiedendo addirittura l’annullamento della delibera di giunta regionale che aveva istituito il Parco. Richiesta che si basava sulla mancata pubblicità data al procedimento istitutivo del parco e sul superamento del limite previsto dalle norme per la protezione della fauna selvatica che a detta dei cacciatori erano illegittime. Il Tar di Salerno accolse il ricorso sottolineando che i ricorrenti erano riusciti a dimostrare la violazione dei limiti previsti dalla legge 157/92. In pratica erano state fissate limitazioni irregolari.
La Regione fece appello allegando la richiesta di sospensiva della sentenza del Tar, richiesta che fu accolta dal Consiglio di Stato che sospese l’efficacia della sentenza di primo grado: “Allo stato, in un quadro comparativo dai contrapposti interessi, pare debba essere data prevalenza a quello pubblico della salvaguardia dell’ambiente” fu scritto nel provvedimento. Poche settimane dopo però i giudici di Palazzo Spada confermarono la decisione del Tar, dando ragione ai cacciatori. Ago della bilancia fu l’inerzia della stessa Regione che non ottemperò ad una precedente ordinanza del Tar che chiedeva delucidazioni sul rispetto della percentuale (dal 20 al 30 per cento) del territorio destinato alla protezione della fauna selvatica. I cacciatori eccepirono infatti che la Regione, prima di procedere all’ istituzione del Parco, avrebbe dovuto verificare, concertando gli stessi cacciatori, se vi fosse ancora territorio disponibile alle attività venatorie. A quanto pare il Parco era talmente rivoluzionario da essere fin troppo “protezionista” della natura, al punto da esserlo oltre certi limiti di legge, limitando i “diritti” dei cacciatori e diminuendo oltremodo la superficie utilizzabile per la caccia. La decisione dei giudici, ineccepibile (forse) dal punto di vista processuale è costata cara agli uccelli migratori che ogni anno passano sopra i Lattari rischiando la propria vita laddove dovrebbero trovare una dimora protetta.
E’ assurdo ma secondo i giudici la delibera istitutiva del parco ha la sua efficacia in tutti i settori tranne che in quello venatorio, uno dei più importanti. Il regolamento del parco non vale nella parte che riguarda il divieto di caccia. Il PM accolse la tesi difensiva del cacciatore sancendo la legittimazione a cacciare all’interno di un parco regionale, a dispetto della legge nazionale e della normativa comunitaria.
Una storia incredibile, che riassume tutti i paradossi italiani verso una materia, quella della tutela ambientale, che con una mano si vuole sostenere e con le altre due si vuole contenere, come dimostra l’assurda decisione di sciogliere il corpo forestale, unico ente specializzato in prevenzione e repressione degli illeciti ambientali.
I giudici quindi hanno ritenuto che i cacciatori avevano ragione, l’area del Parco era troppo vasta e ledeva il loro “sacrosanto” diritto di uccidere altri esseri viventi solo per coltivare una propria passione, va bene così, pazienza, ma è possibile che in otto anni non si è riusciti a trovare un compromesso e prevedere quantomeno delle ulteriori aree di divieto assoluto della caccia all’interno del parco?
Alla luce dei numerosi casi di bracconaggio e caccia indiscriminata, è arrivato il momento di alzare di nuovo i riflettori su questa importante questione, per creare un nuovo fronte nell’opinione pubblica e rimediare al paradosso, tutto campano, di un’area protetta non protetta…