Campi Flegrei: vulcano attivo, si studia il passato per capire il futuro

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Il toponimo Campi Flegrei, dal greco campi ardenti, è il primo indizio della natura vulcanica di questa famosa località campana.

L’attività vulcanica dell’area è iniziata intorno a 50 mila anni fa e nell’arco del tempo numerosi sono stati gli eventi eruttivi di tipo espolosivo che hanno determinato la caratteristica morfologia dell’area, costituita da un’ampia zona ribassata detta caldera che contiene  numerosi crateri e coni vulcanici più piccoli.

Un recente studio, nato dalla collaborazione tra ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) – Sezioni di Pisa e Napoli-Osservatorio Vesuviano, Università di Pisa, Scuola Normale Superiore di Pisa e Università di Napoli Federico II, ha cercato di fare luce sull’attività eruttiva della caldera dei Campi Flegrei.

I ricarcatori studiando statisticamente il passato di questo sistema vulcanico hanno sviluppato due modelli di probabilità capaci di fornire stime attendibili sul possibile comportamento futuro dell’area.

Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Journal of Geophysical Research – Solid Earth, e incluso nei Research Spotlights della rivista EOS dell’American Geophysical Union.

“I Campi Flegrei”, spiega Augusto Neri, direttore della Struttura Vulcani dell’Ingv, “sono una caldera vulcanica attiva che include parte della città di Napoli. Il vulcano è costituito da una grande depressione topografica del diametro di circa 12 km con una larga porzione della metà meridionale che si estende nel Golfo di Pozzuoli. La parte emersa contiene numerosi crateri vulcanici, coni di tufo e scorie e duomi lavici. Negli ultimi 15.000 anni, l’intera caldera è stata interessata da un vulcanismo intenso e prevalentemente esplosivo, con più di 70 eruzioni note. Queste eruzioni si sono concentrate nel tempo all’interno di tre epoche eruttive della durata di alcuni secoli o millenni, alternandosi a periodi di quiescenza durati millenni. Spesso gli eventi eruttivi vicini nel tempo hanno formato dei gruppi o cluster di eventi ravvicinati anche geograficamente, prevalentemente lungo i bordi della caldera e nella sua zona centro-orientale. L’eruzione più recente è quella di Monte Nuovo, avvenuta nel 1538 d.C. dopo oltre 3.000 anni di quiescenza. Essa potrebbe rappresentare l’inizio di una nuova sequenza di eruzioni, anche se da quell’evento sono passati quasi 500 anni senza attività”.

Il primo modello di probabilità descrive l’evoluzione temporale del tasso eruttivo del vulcano, considerando anche l’incertezza che influenza la conoscenza della sequenza eruttiva negli ultimi 15.000 anni. Questo modello mostra che in tutte e tre le epoche sono avvenuti cluster spazio-temporali di eruzioni, con un’attività maggiore (eruzioni più frequenti e volumi di magma più grandi) nel settore est della caldera rispetto al settore ovest, e che le due epoche più lunghe (ovvero la prima e la terza) hanno mostrato un tasso eruttivo più basso nella loro parte iniziale. Il secondo modello di probabilità invece ha l’obiettivo di riprodurre la sequenza degli eventi eruttivi avvenuti nella caldera per studiarne la distribuzione spazio-temporale e fare previsioni sulla sua possibile attività futura.

“La sequenza delle eruzioni è modellizzata con un processo stocastico che comprende la possibilità di avere eventi ravvicinati nello spazio e nel tempo nonché di trattare dati caratterizzati da incertezza”, aggiunge Andrea Bevilacqua, giovane ricercatore che ha sviluppato i modelli di probabilità nell’ambito della propria tesi di perfezionamento presso la Scuola Normale Superiore di Pisa con una borsa finanziata dall’Ingv.

La combinazione dei due modelli ha permesso di evidenziare somiglianze e differenze fra le tre epoche eruttive e di stimare il tasso eruttivo di base della caldera, cioè la frequenza temporale con cui si formano nuovi cluster di eruzioni invece che singoli eventi eruttivi, oltre alla durata e prolificità di tali cluster di eruzioni.

“Assumendo che l’eruzione di Monte Nuovo abbia segnato l’inizio di una nuova epoca eruttiva della caldera, i modelli forniscono una stima media di poco più di un secolo del tempo di attesa prima del prossimo evento calcolato da oggi, ma con una grande variabilità della stima. In particolare il tempo di attesa può variare tra diversi anni fino ad alcune centinaia se si considera l’effetto delle diverse incertezze in gioco. Viceversa, queste stime crescono significativamente, arrivando anche a tempi di attesa superiori al millennio, se si assume che l’evento di Monte Nuovo non rappresenti l’inizio di una nuova epoca eruttiva o comunque non abbia riattivato il settore est della caldera” spiega Neri.

I risultati dello studio permettono di ottenere delle prime stime quantitative sulla frequenza dell’attività eruttiva, nonché sulla probabilità di un futuro evento, della caldera dei Campi Flegrei, considerando anche l’effetto di alcune incertezze in gioco.

“Le stime realizzate sono di carattere statistico e basate esclusivamente sulla conoscenza della storia eruttiva del vulcano, nell’ipotesi che il suo comportamento negli ultimi 15.000 anni sia rappresentativo di quello futuro. I risultati ottenuti evidenziano chiaramente l’intensa attività eruttiva di questo vulcano e quindi la sua elevata pericolosità. Queste stime sono complementari alle previsioni di breve termine sull’attività futura che sono invece possibili attraverso il monitoraggio continuo del vulcano e lo studio dei processi che governano la risalita di magma nel sottosuolo”, conclude Augusto Neri. (foto a corredo: Roberto Isaia, Ingv-Ov)

Ferdinando Fontanella

Twitter: @nandofnt

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