C’è modo e modo di raccontare. Lo stesso fatto lo puoi presentare con toni di voce altisonanti e con una mimica facciale che sottolinea i concetti che si ritengono più significativi. Oppure, come si suole dire, “senza fare una piega”. Porgendo all’uditorio che ti ascolta il ragionamento “sic et simpliciter”. Senza agitarsi, senza alti e bassi della voce, senza emozioni apparenti.
Nella nostra società dell’immagine va molto di moda la battuta secca che colpisce come un pugno in pieno viso, al di là di qualsiasi argomentazione. L’ipotetico bianco o nero, senza alcuna sfumatura, sparato con il convincimento di chi si ritiene giudice dell’umanità intera – specialmente se condito con scenografie immaginifiche ed abiti allusivi – fa effetto. E che effetto. Principalmente in chi ha bisogno d’aggrapparsi a stereotipi pseudo rivoluzionari nella speranza-illusione di cambiare il corso – e forse anche il senso – della propria esistenza.
L’impostazione diametralmente opposta dovrebbe fare acqua da tutte le parti. Il clic del tasto che spegne il televisore dovrebbe sentirsi immediatamente appena appare sullo schermo il “personaggio” che parla senza agitarsi, senza mandare messaggi oltranzisti, senza il ghigno sardonico del rivoluzionario “à la carte”. Per fortuna non è così, c’è anche chi ancora ascolta con attenzione le “mille sfumature di grigio” che ci possono essere in una esposizione. E, soprattutto, non si fa influenzare dai tric trac senza costrutto di chi con gli slogan pensa di poter governare un Paese.
Con la pacatezza che gli è solita, senza batter ciglio, Sergio Mattarella, nel consueto messaggio di fine d’anno del presidente della Repubblica, ascoltato da dieci milioni di telespettatori, di cose pesanti e determinate ne ha dette parecchie. Dall’odio in politica, alla priorità del lavoro, all’essenzialità di essere comunità; alle elezioni che vanno fatte quando c’è una legge elettorale organica, ad internet, ecc. ecc.
Una carrellata su tanti argomenti sensibili, costruita non coll’intento di colpire e convincere, ma con l’obiettivo di far ragionare. Solo così è possibile costruire una “comunità” che sia tale. “Una società divisa, rissosa e in preda al risentimento – afferma il presidente della Repubblica -, smarrisce il senso di comune appartenenza, distrugge i legami, minaccia la sua stessa sopravvivenza. Tutti, particolarmente chi ha più responsabilità, devono opporsi a questa deriva”. Ed è una deriva che va combattuta con la formazione dei giovani e con l’impegno – senza se e senza ma – di quanti “hanno più responsabilità” ad impegnarsi in politica, perché solo dalla politica può venire il cambiamento della gestione dello Stato.
“Essere comunità di vita – dichiara Sergio Mattarella – significa condividere alcuni valori fondamentali. Questi vanno praticati e testimoniati. Anzitutto da chi ha la responsabilità di rappresentare il popolo, a ogni livello”. E, ancora, il capo dello Stato insiste sul fatto che “non vi sarà rafforzamento della nostra società senza uno sviluppo della coscienza civica e senza una rinnovata etica dei doveri”. Insomma, l’esempio come metodo pedagogico attivo. Che va dato in primis da chi ha attribuzioni politiche.
Al primo posto delle argomentazioni del presidente Mattarella c’è il lavoro. “Combattere la disoccupazione e, con essa, la povertà di tante famiglie è un obiettivo da perseguire con decisione. Questo è il primo orizzonte del bene comune”. Perché, secondo Mattarella, “non potremo sentirci appagati finché il lavoro, con la sua giusta retribuzione, non consentirà a tutti di sentirsi pienamente cittadini.”
Il messaggio dell’ultimo dell’anno del presidente della Repubblica si conclude con il ricordo di un dono fattogli dai bambini della scuola dell’Infanzia di Acquasanta Terme, una delle zone colpite dal sisma del ventiquattro di agosto. Un disegno che raffigura la loro scuola con la scritta: “La solidarietà diventa realtà quando si uniscono le forze per la realizzazione di un sogno comune”. “Vorrei concludere – afferma Sergio Mattarella – facendo mio questo augurio, e rivolgendolo a ciascuno di voi, perché i sogni dei bambini possono costruire il futuro della nostra Italia”.
“Essere comunità” è il leitmotiv del presidente Mattarella che si ritrova in tutto il suo discorso di fine d’anno, ma soprattutto nella sua azione di capo dello Stato. Finché il raggiungimento del “bene comune del Paese” è soppiantato da altri obiettivi, che troppo spesso tendono a privilegiare interessi di parte, non ci potrà essere sviluppo. La carta vincente per affrontare anche la globalizzazione si chiama “comunità”.
Elia Fiorillo