C’è anche da dire che le organizzazioni di cui fanno parte gli arrivisti senza scrupoli dovrebbero avere degli anticorpi per neutralizzare le deviazioni, gli imbrogli. Le insopportabili prevaricazioni fatte da chi pensa solo al bene proprio e a quello dei suoi sodali. Ma c’è di più. Bisognerebbe anche che le organizzazioni di volontariato, i sindacati, i partiti si dotassero di un codice etico che imponesse la non accettazione di soggetti “cacciati” o “usciti” per motivi non chiari dall’organizzazione di appartenenza.
Nell’attuale legislatura sono più di duecentocinquanta i deputati e senatori che sono passati da un gruppo all’altro, ovvero da un partito ad un altro. La media è di dieci passaggi ogni mese, uno ogni tre giorni. Ma siamo proprio sicuri che questi cambi di casacca siano dettati da questioni ideali o, invece, da bassi interessi di bottega che con il “mandato” dell’elettorato c’entrano come “cavoli a merenda”? No, la certezza è proprio un’altra, tranne sparuti casi, che il business personale e di gruppo sia alla base delle scelte fatte passare per “questioni di coscienza” o di “lealtà verso chi mi ha eletto”, o fandonie dello stesso tipo. Pensate se i partiti scelti dai parlamentari transfughi, invece di accogliere con applausi i nuovi arrivati, li sottoponessero al un pubblico confronto sui motivi dell’abbandono. E solo dopo l’accertamento delle motivazioni, ovviamente gravi e non di comodo, dessero il loro sì al passaggio. Il numero si ridurrebbe a pochi cambi, da contarsi sulle dita di una sola mano, al massimo di due.
Stesso discorso vale per il volontariato e il sindacato. Se bussa alla porta l’ex segretario generale di una categoria che fino a qualche giorno prima era tuo avversario, invece di accoglierlo e contare quanti iscritti si porta dietro, sarebbe più utile per l’immagine della struttura (e non solo, in verità) valutare le motivazioni alla base della scelta. Farlo anche confrontandosi con la sua passata dirigenza. Perché il problema non è un iscritto in più, nell’eterna e spesso deleteria contrapposizione all’organismo confratello, ma l’immagine complessiva del “sistema”. Più che mai questo ragionamento è valido oggi per l’inesistenza di vincoli ideologici.
Quando si hanno scheletri negli armadi, quando la contabilità non è trasparente, quando gli iscritti sono gonfiati, quando la preoccupazione più grossa non è fare l’interesse degli associati ma spendere soldi in addetti stampa ed in regali ai giornalisti per creare immagini farlocche, allora si può ben credere che prima o poi arriverà un tsunami devastante. Le avvisaglie già ci sono. I populismi sempre più stanno prendendo piede nel nostro Paese. E se questo avviene è anche per colpa di quelle organizzazioni che hanno smarrito la retta via. Che si sono dilaniate in giuochi di potere interno. Che hanno predicato bene e razzolato male. Che hanno dimenticato le ragioni per cui sono nate.
Le parole di Annamaria Furlan lasciano ben sperare per un cambio di passo, non solo della Cisl. Avere la consapevolezza, e gridarla senza paura, che qualcosa nei meccanismi interni della propria organizzazione non funziona non è indice di debolezza, ma di forza. Sarebbe bello se a partire da Cgil Cisl Uil si sottoscrivessero protocolli d’intesa relativi alla trasparenza dei bilanci, alla certificazione del numero degli iscritti, alla formazione dei gruppi dirigenti ecc.. I populismi e gli uomini soli al comando si combattono anche in questo modo.
Elia Fiorillo