I trafficanti d’armi e le fabbriche di proiettili in Iran: le indagini della Dda di Napoli

Nel provvedimento di fermo emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Napoli lo scorso 31 gennaio ai danni del trafficante di armi Mario Di Leva, residente a San Giorgio a Cremano, emergerebbero particolari inquietanti.

Parrebbe, infatti, che dopo aver realizzato in Russia ed Egitto fabbriche di proiettili, riscuotendo piena soddisfazione da parte degli acquirenti stranieri, Marco Di Leva si accingesse a installarne altre in Iran con l’aiuto di altre due persone, una della quali altamente competente in materia.

Nel computer sequestrato a Di Leva, alias Jaafar, gli inquirenti hanno trovato l’offerta sottoscritta in data 21 febbraio 2015 riguardante la fornitura di macchinari per costruire in Iran una fabbrica per produzione e la ricarica di proiettili militari.

Si parlerebbe di un’offerta di 28,6 milioni di euro che garantiva 220 milioni di proiettili ad uso militare. Sempre Marco Di Leva per conto dell’Iran avrebbe trattato una fornitura di piombo per il mercato italiano. Questo particolare emergerebbe da una fattura rinvenuta sempre nel suo pc: il documento indicherebbe il porto di partenza del piombo, Bandar Abbas (Iran) e quello di destinazione Napoli.

Continua a colpi di scena una vicenda oltremodo intricata a cui la Dda sembra voler riservare massima attenzione. Si sarebbe solo alle battute iniziali di provvedimenti giudiziari che potrebbero coinvolgere insospettabili professionisti e imprenditori non solo partenopei.

Il provvedimento a gennaio ha interessato tre italiani ed un libico accusati di traffico internazionale di armi verso Iran e Libia aggirando l’embargo.

I fermati sono marito e moglie di San Giorgio a Cremano, Mario Di Leva, convertitosi all’Islam con il nome di Jaafar, e Annamaria Fontana, e manager della Società italiana elicotteri, Andrea Pardi.

Dall’Italia, insomma, le armi nelle mani dei terroristi dell’Isis, armamenti ed elicotteri destinati anche a Iran e Libia.

Il business del traffico d’armi soprattutto a livello internazionale muove cifre da capogiro: il potere economico delle associazioni malavitose che lo controllano eleva esponenzialmente la capacità corruttiva delle stesse nei confronti di funzionari pubblici e politici. Le organizzazioni si sarebbero mosse con troppa facilità nei vari paesi coinvolti dal vergognoso traffico per non pensare alla complicità di insospettabili professionisti inseriti ad ogni livello nelle rispettive macchine pubbliche.

Un anello del losco ingranaggio è stato dissaldato: il lavoro certosino dei giudici a breve potrebbe portare ad arresti eclatanti e aprire nuovi filoni di inchiesta in mezzo mondo. In sintesi: adesso si mirerebbe ad individuare le società di copertura per il riciclo dei profitti del traffico d’armi identificando così i burattinai di un sistema mafioso che non conosce principio morale alcuno.

Alfonso Maria Liguori

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