Giovedì 2 marzo, alle ore 11, presso la sede della Fondazione Polis della Regione Campania (Napoli, via Raffaele De Cesare 28), saranno presentate due importanti ricerche sul tema delle esperienze di riutilizzo dei beni confiscati. L’iniziativa è promossa da Libera e dalla stessa Fondazione Polis.
Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie è impegnata da anni nei processi di valorizzazione dei beni confiscati alle mafie soprattutto in percorsi di partecipazione e inclusione sociale attraverso i quali accompagna cooperative, associazioni, comitati civici in progetti di riutilizzo. Oltre al monitoraggio dei beni confiscati non ancora riutilizzati, nell’ultimo anno Libera ha deciso di orientare la sua attenzione anche alle esperienze di riutilizzo.
Da questa premessa nascono i due importanti studi che verranno presentati: Il primo, promosso da Libera con il sostegno della Fondazione Italiana Charlemagne, dal titolo “BeneItalia. Economia, welfare, cultura, etica: la generazione di valori nell’uso sociale dei beni confiscati alle mafie”, ha permesso di rintracciare, in tutto il territorio nazionale, 524 realtà sociali impegnate nella gestione di attività su beni confiscati.
Con il secondo studio dal titolo “I beni confiscati come opportunità di sviluppo”, invece, promosso da Libera Campania e Fondazione Polis, è stata analizzata la situazione campana con dati entusiasmanti: 78 pratiche di riutilizzo censite su tutto il territorio regionale che in media occupano 5 persone, su cui operano mediamente 15 volontari e 16541 beneficiari complessivamente.
Entrambi gli studi sono importanti per rappresentare lo stato dell’arte del riutilizzo sociale dei beni confiscati ma soprattutto raccontano uno spaccato dell’Italia operosa e virtuosa, che in molti territori si impone come modello socio-economico alternativo a quello mafioso.
Ad oltre venti anni dall’approvazione della legge sul riutilizzo sociale dei beni confiscati, oggi i dati raccolti ci mostrano la bontà del cammino intrapreso. Emergono anche alcuni ostacoli, che le ricerche hanno voluto stigmatizzare affinché possa essere messa a sistema una più ampia e qualificata gestione dei beni confiscati alle mafie.
Un quadro articolato che necessita di politiche pubbliche di sistema e di un lavoro organizzato da parte dei soggetti gestori dei beni al fine di realizzare un nuovo welfare, praticando un modello di sviluppo sostenibile e solidale. Questi lavori di ricerca dimostrano che ci sono le possibilità di mutamenti profondi e radicali e per questo è necessario percorrere una strada.