Presentata una memoria difensiva, nell’ambito dell’inchiesta “Consip” dai legali dell’imprenditore Alfredo Romeo Francesco Carotenuto, Giovanni Battista Vignola e Alfredo Sorge al gip Gaspare Sturzo e al pm Mario Palazzi, ovvero ai giudici che contemporaneamente nel carcere di “Regina Coeli” prendevano atto della volontà da parte di Romeo di avvalersi della facoltà di non rispondere.
Bisogna ricordare che l’imprenditore campano è in carcere da alcuni giorni dopo l’arresto per corruzione ordinato dalla Procura ed eseguito dalla guardia di finanza.
“Il nostro assistito – hanno spiegato le toghe del collegio difensivo ai giornalisti fuori dal carcere – non ha mai incontrato Tiziano Renzi o persone dell’entourage dell’ex premier. La stessa presunta corruzione nei confronti del funzionario Consip Marco Gasparri sarebbe una bufala: in realtà Alfredo Romeo sarebbe stato ‘fregato’. I soldi versati a Gasparri non sarebbero altro che gli onorari corrisposti al funzionario per consulenze private sul perfezionamento dei calcoli per presentare delle offerte.
Si tratta comunque di cifre modeste, il resto è solo gossip e clamore mediatico. Se la vogliamo dire tutta in Consip Alfredo Romeo non era un privilegiato ma un emarginato. Altro che corruttore, ripetiamo, è stato al contrario fregato più volte”.
Una strategia difensiva che punterebbe a descrivere Alfredo Romeo come una vittima e non un corruttore. Confermate in pieno quindi le parole di Tiziano Renzi durante il suo interrogatorio di venerdì scorso. “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato”: questo uno stralcio di una intercettazione telefonica effettuata dai carabinieri del Noe (ora fuori dall’indagine per decisione della Procura di Roma) a carico di Romeo.
Una frase che gli stessi militari hanno definito di “eccezionale valore” perché comproverebbe che i due si erano realmente incontrati. Millanteria o meno è evidente che dato il peso dei personaggi coinvolti si proceda nell’inchiesta “con i piedi di piombo” scaricando sugli organi di informazione la responsabilità di essersi sostituiti alla giustizia ordinaria arbitrariamente.
L’impressione al contrario è che non si sappia proprio come correre ai ripari: troppi gli interessi in gioco e forse il timore che davanti alla prospettiva di una detenzione più lunga del previsto qualcuno possa cedere emotivamente e barattare la libertà con rivelazioni scottanti. Particolari che potrebbero aprire le porte delle patrie galere a personaggi “in” della politica nazionale e delle istituzioni. Della serie: quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare.
Alfonso Maria Liguori