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Agromafie 2017, business da 22 miliardi di euro: ci sono anche le mozzarelle dei Casalesi

agromafie 2017Agromafie 2017 è un rapporto che prende in considerazione diversi elementi. Le mozzarelle di bufala del figlio di Francesco Schiavone alias Sandokan, boss del clan di camorra dei Casalesi; le infiltrazioni nel settore ortofrutticolo del clan Piromalli; l’olio extra vergine di oliva di Matteo Messina Denaro; il controllo del commercio della carne da parte della ‘ndrangheta e di quello ortofrutticolo della famiglia di Totò Riina. I più noti clan della criminalità si dividono il business della tavola mettendo le mani sui prodotti simbolo del Made in Italy.

Il volume d’affari complessivo annuale, insomma, è salito a 21,8 miliardi di euro con un balzo del 30% nell’ultimo anno. E’ quanto è emerso alla presentazione del quinto Rapporto Agromafie 2017 elaborato da Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare.

E’ stato evidenziato che tale stima rimane, con tutta probabilità, ancora largamente approssimativa per difetto, perché restano inevitabilmente fuori i proventi derivanti da operazioni condotte “estero su estero” dalle organizzazioni criminali, gli investimenti effettuati in diverse parti del mondo, le attività speculative poste in essere attraverso la creazione di fondi di investimento operanti nelle diverse piazze finanziarie, il trasferimento formalmente legale di fondi attraverso i money transfer in collaborazione con fiduciarie anonime e la cosiddetta banca di “tramitazione”, che veicola il denaro verso la sua destinazione finale.

La filiera del cibo, della sua produzione, trasporto, distribuzione e vendita, ha tutte le caratteristiche necessarie per attirare l’interesse di organizzazioni che via via abbandonano l’abito “militare” per vestire il “doppiopetto” e il “colletto bianco”, come si diceva un tempo, riuscendo così a scoprire e meglio gestire i vantaggi della globalizzazione, delle nuove tecnologie, dell’economia e della finanza 3.0.

Sul fronte della filiera agroalimentare le mafie, dopo aver ceduto in appalto ai manovali l’onere di organizzare e gestire il caporalato e altre numerose forme di sfruttamento, condizionano il mercato stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del nostro vero o falso Made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’Italian sounding e la creazione ex novo di reti di smercio al minuto.

Nel 2016 si è registrata un’impennata di fenomeni criminali che colpiscono e indeboliscono il settore agricolo nostrano dove quasi quotidianamente ci sono furti di trattori, falciatrici e altri mezzi agricoli, gasolio, rame, prodotti (dai limoni alle nocciole, dall’olio al vino) e animali con un ritorno prepotente dell’abigeato.

Non si tratta più soltanto di “ladri di polli” ma le agromafie riguardano veri criminali che organizzano raid capaci di mettere in ginocchio un’azienda, specie se di dimensioni medie o piccole, con furti di interi carichi di olio o frutta, depositi di vino o altri prodotti come file di alveari, intere mandrie o trattori caricati su rimorchi di grandi dimensioni.

A questi reati contro l’agricoltura, secondo il Rapporto Agromafie Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, si affiancano racket, usura, danneggiamento, pascolo abusivo, estorsione nelle campagne mentre nelle città, silenziosamente, i tradizionali fruttivendoli e i nostri fiorai sono quasi completamente scomparsi, sostituiti i primi da egiziani e i secondi da indiani e pakistani che, pur sapendo proferire a stento poche frasi compiute in italiano, controllano ormai gran parte delle rivendite attive sul territorio.

Si direbbe un vero miracolo all’italiana, affiancato però dal dubbio che tanta efficacia organizzativa possa anche essere, spesso, il prodotto di una recente vocazione mafiosa per il marketing. I poteri criminali si “annidano” nel percorso che frutta e verdura devono compiere per raggiungere le tavole degli italiani, e che vede uno snodo essenziale in alcuni grandi mercati di scambio per arrivare alla grande distribuzione. Tra tutti i settori “agromafiosi” quello della ristorazione è forse il comparto più tradizionale e immediatamente percepito come tipico del fenomeno.

In alcuni casi sono le stesse mafie a possedere addirittura franchising e dunque catene di ristoranti in varie città d’Italia e anche all’estero, forti dei capitali assicurati dai traffici illeciti collaterali. Il business dei profitti criminali reinvestiti nella ristorazione coinvolgerebbe oltre 5.000 locali, con una più capillare presenza a Roma, Milano e nelle grandi città

Attività “pulite” che si affiancano a quelle “sporche”, avvalendosi degli introiti delle seconde, assicurandosi così la possibilità di sopravvivere anche agli incerti andamenti del mercato e alle congiunture economiche sfavorevoli, ma anche di contare su un vantaggio rispetto alla concorrenza con la disponibilità di liquidità e la possibilità di espandere gli affari secondo il Rapporto Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare.

Nei primi sei mesi del 2016 il Consiglio Direttivo dell’Anbsc ha deliberato la destinazione di 140 terreni ubicati per il 48% in Puglia, il 33% in Calabria, il 14% in Sicilia, il restante 4% in Campania e 1% in Piemonte. Quasi totalità dei terreni confiscati ai sodalizi criminali si trovano nelle quattro regioni italiane a forte connotazione mafiosa.

Il trend è confermato dai dati contenuti nel “Portale Unico della Georeferenziazione”, una piattaforma web, autonomamente gestita dallo Scico (Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata della Guardia di Finanza) che consente di rappresentare, su mappe geografiche, le informazioni conferite dai Gruppi Investigazione Criminalità Organizzata e raccolte a livello centrale.

Sono 29.689 i terreni rientranti nella disponibilità di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata; oltre il 40% di questi risultano concentrati in Sicilia, mentre la restante parte riguarda soprattutto Calabria (20,4%), Puglia (20,4%) e Campania (9,4%). Anche questo dato è emerso alla presentazione del quinto Rapporto Agromafie 2017 elaborato da Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare.

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