Sono passati 23 anni dall’omicidio di don Peppe Diana, ucciso dalla camorra il 19 marzo del 1994: oggi a Casal di Principe si sono svolte iniziative per ricordate il parroco e con lui tutte le vittime innocenti della criminalità organizzata. L’iniziativa, che si svolge ogni anno, è promossa come sempre, dal Comitato don Giuseppe Diana insieme al coordinamento provinciale dell’associazione Libera, alla Diocesi di Aversa, al Comune di Casal di Principe e all’Agesci.
“Risaliamo sui tetti e riannunciamo parole di Vita”, è il filo conduttore che sta accompagnando ogni singola manifestazione nell’obiettivo di far memoria e sottolineare l’importanza dell’impegno sociale. Migliaia di persone hanno partecipato alla marcia cittadina dopo la Santa Messa, per raggiungere il parco dedicato a don Diana in via Vaticale. Sono state attraversate via Galilei, via Toti per raggiungere l’abitazione dei genitori di don Diana in via Garibaldi.
“La memoria di don Peppe Diana è un elemento fondante del riscatto delle nostre terre, che dopo
aver dato vita alla resistenza contro la dittatura della camorra ora si avviano determinate verso la
rinascita. Il cammino è ancora lungo – ha affermato Gianni Solino, referente provinciale casertano di
Libera – ma la strada è tracciata dall’impegno di tanti”.
Alla manifestazione ha partecipato anche il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio. “Don Peppe ha avuto il coraggio di denunciare il ‘sistema’ con un manifesto pubblico. – ha commentato Di Maio – Il suo coraggio ha ispirato tanti di noi. I suoi familiari hanno dovuto difendere la memoria di Don Peppe con le unghie e con i denti: prima è stato ucciso, poi con la compiacenza di alcune testate locali si è provato anche ad infangarlo”.
Il 19 marzo del 1994 alle 7,20 viene assassinato nella sagrestia della Chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe don Giuseppe Diana. Un delitto spietato compiuto da un camorrista che pistola in pugno affronta il coraggioso parroco sparando 5 volte: i proiettili vanno tutti a segno colpendo mortalmente Don Peppe Diana al collo, alla testa , al volto e ad una mano. Un delitto che scuote l’Italia intera: “Sento il bisogno di esprimere il vivo dolore – dice Papa Giovanni Paolo II durante l’Angelus del 20 marzo 1994 – per l’uccisione di Don Giuseppe Diana. Voglia il Signore far si che il sacrificio di questo suo ministro, evangelico chicco di grano caduto nella terra, produca frutti di piena conversione, di operosa concordia, di solidarietà e di pace”.
Ma chi era Don Peppa Diana? Un giovane di Casal di Principe figlio di proprietari terrieri che nel 1968 entra in seminario ad Aversa e vi frequenta scuola media e liceo classico. Successivamente si laurea in teologia biblica presso la Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale e poi in Filosofia sempre a Napoli, presso l’Ateneo Federico II. Da sempre membro attivo della comunità scout Don Peppe Diana, uomo di Dio di singolare umanità, cultura e coraggio, si prodiga in favore della gente della propria realtà d’origine oppressa dalla prevaricazione violenta esercitata dalla camorra.
Sono gli anni dello strapotere assoluto dei Casalesi e in particolar modo del boss Francesco Schiavone (alias Sandokan). Gli affiliati al clan dei casalesi controllano non solo i traffici illeciti ma grazie al potere corruttivo offerto dalla grande disponibilità economica come metastasi diventano sempre più influenti negli enti locali gestendo fette rivelanti di economia pseudo legale. Una caratteristica questa che identifica il clan dei Casalesi come massima espressione della camorra imprenditrice.
Ma il crimine organizzato non si accontenta di uccidere vigliaccamente un uomo “buono”, prima ancora che un ottimo ministro di Dio, ma tenta anche di sporcare l’immagine del sacerdote facendo girare voci infamanti che lo dipingono come pedofilo, frequentatore di prostitute e persino camorrista, nello specifico custode delle armi destinate a uccidere il procuratore Cordova. La Giustizia fa invece il suo corso e vengono condannati all’ergastolo per questo atroce delitto Mario Santoro e Francesco Piacenti come coautori dell’omicidio.
L’esecutore materiale dell’agguato Giuseppe Quadrano si consegna alla polizia iniziando a collaborare attivamente con i giudici. Quadrano è poi condannato a 14 anni di reclusione (i magistrati tengono conto delle dichiarazioni rilevanti prodotte dall’omicida contro il sistema dei casalesi). Oggi ricordare Don Peppe Diana vuol dire onorare un ideale di vita, celebrare la vittoria del bene sulla violenza brutale del crimine organizzato.
Il mito del sacerdote colpito dalla camorra è destinato a crescere esponenzialmente nel tempo e con esso la voglia di riscatto dei tanti giovani desiderosi di vivere nella legalità e pronti a dimostrare come in realtà oppresse dal sistema come Casal di Principe vivano tanti cittadini onesti. Cittadini a cui forse il sacrificio di don Peppe Diana ha dato la forza di gridare “basta” alla camorra.
Da ricordare che il 21 marzo prossimo si terrà la XXII Giornata della memoria e dell’impegno per le vittime innocenti delle mafie organizzata da Libera. Le celebrazioni si sposteranno al Parco Conocal a Ponticelli, teatro in questi anni di violenza e marginalizzazione socio culturale proprio per colpa di una presenza asfissiante delle camorre. In Campania, come nel resto del Paese, Libera promuoverà un corteo regionale.
Celebrazioni che sono cominciate oggi a Locri alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “Bisogna prosciugare le paludi dell’arbitrio della corruzione, dove la mafia prospera, dice il capo dello Stato, sottolineando che i mafiosi non hanno senso dell’onore o del coraggio. E la lotta alla mafia deve riguardare tutti quanti, nessuno può pensare di chiamarsene fuori”.
Letti nel corso della cerimonia gli oltre 950 nomi di vittime innocenti delle mafie. Il Capo dello Stato é accompagnato dal Ministro dell’Interno, Marco Minniti, e dalla presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi.
Piersanti Mattarella, fratello del presidente della Repubblica Sergio, è una delle vittime di mafia il cui nome è stato letto dai familiari delle vittime innocenti di mafia nel corso dell’incontro a Locri con il Capo dello Stato.
Alfonso Maria Liguori