Sono queste le pesantissime accuse di cui dovrà rispondere il 59enne impegnato da anni nel settore delle onoranze funebri a Castellammare di Stabia, rinviato a giudizio nelle scorse ore dal gup del Tribunale di Napoli Giovanna Cervo a seguito di un’udienza preliminare.
Il caso è emerso nel giugno scorso quando ad Alfonso Cesarano è stato notificato dai carabinieri un avviso di conclusione indagini emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia (Dda) di Napoli.
L’imprenditore è stato indagato, e a breve sarà imputato in un processo che si celebrerà al Tribunale di Torre Annunziata, per concorso esterno in associazione mafiosa ed estorsione con l’aggravante dell’articolo 7, ossia di avere agito per nome e per conto di un’organizzazione mafiosa.
Cesarano dovrà difendersi da un’impianto accusatorio composto da intercettazioni telefoniche ed ambientali; indagini ed informative del Nucleo Investigativo dei carabinieri di Torre Annunziata tra il 2008 ed il 2016; ascolto di persone informate sui fatti; dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia Raffaele Polito, Salvatore Belviso e Renato Cavaliere.
Secondo l’Antimafia, insomma, Cesarano, tra il 2006 ed il 2009, in qualità di proprietario di un
L’altro presunto reato, l’estorsione aggravata, il cosiddetto “racket del caro estinto”, sarebbe stata commessa nel 2008. In questo caso un collaboratore di una ditta di onoranze funebri sarebbe stato costretto a pagare a Cesarano 1000 euro per servigi superflui, “dovuti” solo per il trasporto di una salma da Castellammare a San Giorgio a Cremano: “Noi siamo gli amici degli amici, siamo persone che sanno come funzionano le cose”.
Secondo i pm della Dda Cesarano con quelle frasi avrebbe fatto sfruttato la forza intimidatrice del clan D’Alessandro. Il procedimento comincerà davanti al Tribunale di Torre Annunziata il 25 maggio prossimo.