Michele D’Alessandro, criminale di Castellammare, il defunto numero uno della camorra stabiese ai vertici della Nuova Famiglia, il padrino che faceva cosi parlare la sua gente: “A Castellammare non si muove foglia che zi’ Michele non voglia”.
L’ex boss Pasquale Galasso, da anni collaboratore di giustizia, avrebbe incontrato in carcere D’Alessandro che gli avrebbe parlato dell’ex ministro Antonio Gava in termini estremamente confidenziali precisando come proprio grazie all’interessamento del “vice re” della Dc non sarebbe mai restato a lungo nelle patrie galere.
Carismatico e deciso Michele D’Alessandro sarebbe indicato da numerosi pentiti come il mandante di decine di omicidi commissionati durante la faida contro il clan capeggiato da Umberto Mario Imparato. Mai pentito il ras di Scanzano, in merito alla scelta di collaborare con lo Stato effettuata dal numero uno della Nuova Famiglia Carmine Alfieri e dal suo delfino Pasquale Galasso, con ironia dichiarò ai giudici: “Quelli sono veri boss, si possono pentire, io avrei poco da dire”.
Parole in codice pronunciate quale testimonianza di una scelta di vita mai rinnegata dal boss a differenza di altri esponenti di spicco della camorra pentitisi all’“occorrenza” e forse “per convenienza”. La morte di Michele D’Alessandro avvenuta in carcere in seguito ad un attacco cardiaco non determinò la fine dello spessore mafioso della famiglia per il passaggio di consegne alla moglie Teresa Martone.
Donna forte, reggente del clan e ideatrice delle strategie operative da adottare per mantenere la leadership criminale sul territorio, Teresa Martone gestisce ad oggi il potere mafioso raggiunto dal marito dalla roccaforte di Scanzano. Tanti i business controllati dai D’Alessandro, una volta incentrati sullo spaccio di stupefacenti e poi allargati ai centri scommesse e ai videopoker.
Teresa Martone rappresenta la regista di un sodalizio criminale ben ramificato a Castellammare e nei comuni limitrofi: una donna intelligente, capace di stringere alleanze eccellenti con la mala di Secondigliano e in grado di gestire i gruppi di fuoco con estrema “parsimonia”. I killer intervengono solo quando “non se ne può fare a meno” per poi sparire nel nulla: un segnale significativo di come l’intento dei D’Alessandro sia quello di controllare criminalmente parlando la zona senza fare “inutile chiasso”, ovvero senza attirare l’attenzione delle forze dell’ordine in modo controproducente.
I D’Alessandro investirebbero i proventi delle attività illecite in molteplici attività commerciali sparse in varie zone d’Italia (si parlerebbe di imprese nel settore caseario e in quello delle acque minerali). Diverse le forme estorsive adottate dal clan nei confronti di commercianti e imprenditori della zona, spesso costretti ad acquistare determinati prodotti da fiancheggiatori dell’organizzazione.
Luigino, Pasquale, Vincenzo d’Alessandro: questi i nomi degli eredi del boss di Scanzano che sarebbero stati magistralmente diretti dalla madre Teresa nelle parentesi storiche più delicate del clan, quando nessuno sembrava avere la capacità di risollevare l’immagine di un casato camorristico fortemente temuto dagli altri gruppi della Nuova Famiglia.
Un potere economico rilevante, amicizie influenti nella società “che conta”, professionisti di prim’ordine a disposizione dell’organizzazione: donna Teresa Martone ha saputo gestire bene l’impero criminale ereditato dal marito Michele che rappresenta in certe realtà ancora un mito da emulare per i ragazzi di strada.
Alfonso Maria Liguori