Secondo l’accusa la famiglia Potenza avrebbe impiegato in imprese economiche e immobiliari denaro proveniente da attività illecite, usura, estorsioni, e associazione per delinquere, proseguite anche dopo la morte del capostipite Mario (alias ‘o chiacchierone). Sequestrate dalla Dia innumerevoli unità immobiliari, 6 società, 3 partecipazioni societarie, autoveicoli, 66 depositi bancari nazionali ed esteri e 5 polizze per un valore complessivo di oltre 20 milioni di euro.
Un’operazione importante che potrebbe essere ancora alle battute iniziali. Tra gli immobili sequestrati locali situati sul lungomare di Napoli e nel quartiere Chiaia-San Ferdinando, Villa delle Ninfe a Pozzuoli e il ristorante di Milano Donna Sophia dal 1931. Un terremoto che rischia di trascinare nel fango insospettabili professionisti e alti funzionari pubblici.
Pare infatti che la famiglia Potenza si muovesse schermata da una serie di contatti eccellenti nella Napoli bene: dalle dichiarazioni del pentito Carlo Lo Russo potrebbero emergere collusioni e rapporti d’affari con figure di primo piano dell’imprenditoria nazionale e della politica centrale. Secondo alcune indiscrezioni il defunto Mario Potenza, ovvero ‘o chiacchierone, avrebbe per decenni investito grosse somme di denaro nell’usura, prendendo per la gola imprenditori e commercianti anche famosi a cui prestava soldi a tassi d’interesse altissimo.
Se le vittime non potevano pagare Potenza rilevava le attività che gli stessi debitori presentavano all’usuraio quali garanzie sul prestito. Pare che il defunto Mario avesse nei confronti dei soldi un rispetto reverenziale persino nel modo di custodirli o portali nel portafogli. Una fede così forte nel dio denaro da consentire ai Potenza , grazie alla copertura malavitosa dei Lo Russo, di accumulare un patrimonio diviso in beni mobili e immobili in Italia e all’estero. Della serie: violati i santuari dell’impresa partenopea collusa con la camorra, trema la Napoli bene.
Alfonso Maria Liguori