Calchi del Criptoportico, le vittime “rapite alla morte” non erano due donne come ipotizzato all’epoca del rinvenimento negli Scavi archeologici di Pompei.
In occasione dei recenti restauri condotti sui calchi del Criptoportico di Pompei, dagli studi antropologici e dalle analisi del Dna su due corpi della casa del Criptoportico rinvenuti durante gli scavi di inizio ‘900, sono emersi sorprendenti risultati in grado di ribaltare la teoria di pertinenza di genere delle due vittime dell’eruzione.
Ad oggi i recenti studi antropologici hanno rivelato che i corpi, sulla base della conformazione ossea e dei caratteri morfologici, corrispondono l’uno a un individuo adulto (più di 20 anni) e l’altro ad uno più giovane (circa 18 anni).
Le analisi del Dna hanno invece determinato che la vittima più giovane era certamente un uomo, forse anche l’altro. In questo secondo caso, tuttavia, è possibile avanzare solo ipotesi a causa del Dna altamente degradato.
Le analisi sui calchi del Criptoportico sono state condotte mediante ricostruzione della sequenza di Dna su campioni costituiti da un dente e da frammenti ossei, previa pulizia e polverizzazione, e hanno inteso indagare anche le presunte relazioni di parentela per linea materna (le uniche rilevabili da indagini Dna), che non è stato possibile dimostrare.
“L’utilizzo delle indagini antropologiche e di Dna si rivela sempre più uno strumento fondamentale per la conoscenza scientifica – dichiara il Direttore Generale Massimo Osanna – perché sono in grado di dare certezza in campo archeologico a quelle che un tempo potevano essere solo delle ipotesi.
Quanto emerso dai recenti studi condotti su due vittime ritrovate nella domus del Criptoportico conferma questa teoria. In questo caso possiamo affermare che non si tratta di due donne e che non vi fosse rapporto di parentela in linea materna, tuttavia non si può concludere scientificamente quale tipo di legame affettivo unisse le due vittime ‘rapite alla morte’, secondo la poetica espressione di Giuseppe Fiorelli”.