Fermato per lo stesso provvedimento anche il genero del boss, Gennaro Amirante, 38enne, di Pozzuoli, elemento di spicco del clan. Entrambi sono ritenuti responsabili di estorsione aggravata da finalità mafiose ai danni del titolare di un noto ristorante di Pozzuoli. Al gestore del locale il clan aveva tentato di imporre il pagamento di 1.500 euro al mese.
Poi il boss aveva pensato di “convertire” il pizzo trasformandolo nell’acquisto di frutti mare dal genero, acquisto eccessivo per le esigenze del ristorante e a prezzi molto più alti di quelli di mercato. I fermati sono stati associati al centro penitenziario di Secondigliano. Un giro di vite dell’Arma nei confronti dei signori del “pizzo”: un costume criminale molto diffuso nell’area puteolana per la grande presenza di bar e attività ristorative, pienamente operative soprattutto nel periodo estivo e troppe volte nella morse della camorra a Monterusciello.
Le forze dell’ordine starebbero investendo nella prevenzione per arginare l’odioso fenomeno del racket e nella fiducia che progressivamente imprenditori e commercianti stanno riacquistando nei confronti delle uniformi di Stato. A complicare il lavoro degli investigatori non solo la paura di denunciare da parte delle vittime ma anche i ripetuti casi di corruzione tra le stesse forze di polizia pubblicizzati negli ultimi tempi dai media.
Funzionari pubblici, appartenenti alle forze dell’ordine, politici e amministratori: tanti i nomi eccellenti finiti sotto i riflettori del grande fratello della magistratura che giorno per giorno compie passi in avanti nell’identificare collusi e corrotti ai massimi livelli istituzionali. Un terremoto che fa tremare il mondo politico che conta e di conseguenza quella imprenditoriale che dal primo dipende.
Senza amicizie eccellenti e protezioni c’è poco da fare a Napoli e in provincia. Ecco che fondamentale appare il rapporto tra forze dell’ordine e cittadini uniti da un costante dialogo che consenta loro di abbattere certe più o meno giustificabili prevenzioni. Della serie: l’Arma ha mostrato ancora una volta il meglio di se nella lotta al cancro sociale chiamato “racket”.
Alfonso Maria Liguori