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Che succede ai Campi Flegrei: bradisismo e terremoti, segnali di risveglio o di stabilità?

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Che succede ai Campi Flegrei? Probabilmente è questa la domanda che frulla nella testa della maggior parte dei ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia d’Italia e, in particolar modo, a quelli dell’Osservatorio Vesuviano di Napoli, che quotidianamente monitorano il vulcano più grande d’Europa.

La domanda nasce dalle evidenti variazioni registrate nell’area flegrea negli anni: i continui movimenti verticali del suolo (bradisismo), l’aumento del numero di terremoti, il cambiamento della composizione chimica dei gas emessi dalle fumarole. Il problema, tuttavia, non è nei dati catalogati quanto nell’interpretazione corretta di questi.

Che succede ai Campi Flegrei? I Campi Flegrei sono come un enorme omone che dorme e nel sonno russa e si dimena, mentre un gruppo di medici lo esamina cercando di capire se quello che fa è l’evidenza di una grave apnea notturna o una banale indigestione. Allo stesso modo i ricercatori dell’Ingv tengono il polso della situazione, una parte di essi però è convinta che il bradisismo, i terremoti e il cambiamento dei gas potrebbero essere causati da preoccupanti movimenti magmatici, preludio a un possibile risveglio del vulcano. Altri, invece, interpretano le variazioni come più rassicuranti segnali di assestamento e stabilità del sistema.

Un nuovo metodo di analisi geochimica dei gas fumarolici messo a punto da un gruppo di ricercatori dell’Osservatorio Vesuviano, in collaborazione con l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, che analizza circa 35 anni di dati – come spiega Giuseppe De Natale ricercatore dell’Osservatorio Vesuviano – “dimostra chiaramente ed in modo diretto che negli episodi recenti di sollevamento del suolo ai Campi Flegrei non è coinvolta una risalita di magma nei serbatoi superficiali; al contrario, le marcate anomalie geochimiche registrate in questo periodo sono dovute al rispristinarsi delle normali condizioni del sistema, in cui le emissioni superficiali provengono dalla camera magmatica profonda.”

D’altro canto un altrettanto recente lavoro, condotto dalle sezioni di Bologna e Napoli dell’Ingv, che è consistito nel monitoraggio dei Campi Flegrei analizzando, nel periodo 2010-2014, il rumore sismico ambientale, ovvero le oscillazioni del terreno causate dalle onde oceaniche che si registrano sempre e ovunque e – come spiega Lucia Zaccarelli ricercatrice Ingv della sezione di Bologna – interpreta le “variazioni in termini di un movimento magmatico profondo e di un progressivo ma costante riscaldamento del sistema idrotermale” contribuendo “in maniera efficace al dibattito scientifico relativo alla natura della fase di unrest [“risveglio” n.d.r.] attualmente osservata”.

Dunque, che succede ai Campi Flegrei? Risultati contrastanti che meritano una spiegazione. Secondo il parere di Lucia Zaccarelli – da noi sentita in merito – “A volte la ricerca scientifica ci sorprende mostrando risultati contrastanti. Di sicuro il nostro approccio sismologico non è direttamente confrontabile con quello prettamente geochimico di De Natale e non posso entrare nel merito delle loro interpretazioni perché la geochimica esula dal mio campo”. A favore della ricerca la ricercatrice cita, inoltre, altri “lavori scientifici pubblicati su riviste internazionali che mostrano evidenze di movimenti magmatici e/o surriscaldamento del sistema. idrotermale nel corso degli ultimi anni ai Campi Flegrei. Speriamo – conclude la studiosa – di poter dipanare i dubbi e convergere ad una interpretazione univoca con le ricerche future”

“Per quel che riguarda il lavoro della Zaccarelli – ha commentato dal canto suo De Natale, da noi intervistato – posso soltanto sottolineare che, riportando analisi del rumore sismico di fondo, si ricavano in esso le caratteristiche elastiche medie dell’area flegrea negli strati superficiali. Questa misura, e queste variazioni, non sono direttamente correlate allo stato e/o alla presenza in strati superficiali del magma. Gli autori forniscono alcune possibili interpretazioni in tal senso, che sono però indirette e non univoche, e probabilmente condizionate dalle ipotesi precedenti. Io – conclude il ricercatore – sono tra l’altro sismologo ancor più che geochimico, e conoscendo bene il metodo utilizzato da questi autori posso confermare che si tratta di risultati di fatto non correlabili con le nostre analisi geochimiche se non in maniera estremamente indiretta”.

Che succede ai Campi Flegrei? La questione messa così, in soldoni, è semplice da capire. Ad essere complicate sono le implicazioni che potrebbero scaturire dall’affermarsi dell’una o dell’altra tesi. La Protezione civile, responsabile della sicurezza degli abitanti dell’area flegrea, calibra le azioni da mettere in campo sulle specifiche indicazioni dei ricercatori.

Tuttavia, per non destare allarmismo o facili entusiasmi, nell’attesa che si faccia più chiarezza, è bene ricordare che le ricerche dell’Ingv per il momento hanno carattere esclusivamente scientifico e, dunque, privo di alcun profilo in merito agli aspetti di protezione civile. L’Istituto di ricerca ricorda, infatti, che dal dicembre 2012 i Campi Flegrei, costantemente monitorati, sono al livello di allerta “giallo”, ossia di attenzione.

Ferdinando Fontanella

Twitter: @nandofnt

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