Insomma tutto ciò che si prova a vivere insieme ai nostri simili si accosta lentamente al nostro Dna fino a renderci solidali e a volte anche felici. In così poco tempo pensate che il nostro corpo e la nostra mente raggiungono una maturità tale di relazioni che ci potranno essere utili per la settimana successiva e ci porteranno, inequivocabilmente, ad essere definiti appartenenti al genere umano.
L’appartenenza a questo genere, razza, paese o come dir si voglia non esiste, sette giorni su sette, ove c’è guerra in posti come la Siria che è diventata ciò che fu Yalta dopo la fine della guerra, un luogo dove spartirsi il potere di futuri equilibri mondiali.
Difronte alla cadenza-indifferenza dei nostri sette giorni su sette, di fronte alla morte di centinaia di bambini che senso hanno i nostri sette giorni, che senso anche là dove c’è dolore, indignazione, rabbia,
rassegnazione? Non lanciamo più appelli, petizioni, fiaccolate in preda all’emotività e al dolore del momento (che forse fanno parte dei nostri sette giorni su sette) oggi in Siria l’umanità è morta per
sempre…
Giuseppe D’Apolito