Ammesso per ipotesi che Vladimir Putin sia stato il grande sostenitore occulto di Donald Trump a scapito della signora Clinton, certo non sta gioendo per l’aiuto fornito. Anzi, il freddo calcolatore senza sangue nelle vene è in preda a furiose “inca…volature”. L’uomo che avrebbe ordinato ai servizi segreti del suo Paese di screditare Hilary Clinton, prima donna candidata alla presidenza degli Stati Uniti, facendo pervenire a WikiLeaks migliaia di mail del Comitato nazionale democratico e di altri soggetti, puntualmente finite online, non si dà pace. E non solamente per quello che Trump sta di fatto facendo contro l’Unione Sovietica, ma anche per il discredito che a lui Putin, nuovo Zar della Russia – e non solo -, gli può venire dagli avversari politici interni, ma anche dai sostenitori. Come si fa a dar credito ad un soggetto talmente esuberante e volubile che in poche ore, dalla mattina alla sera, cambia idea? The Donald president non segue una politica, un disegno, recita a soggetto secondo l’umore e gl’interessi dei suoi elettori. Oggi è amico carissimo, domani l’incontrario e dopodomani non si sa. Puntare su uno così per condividere strategie e soprattutto per dividersi il mondo è da vero incosciente, a dir poco.
Molto meglio per Vladimir sarebbe stato l’appoggiare la sua nemica di sempre, Hilary Clinton. Perché la “signora” presidente, se fosse stata eletta, avrebbe continuato la politica del suo predecessore, Barack Obama. Certo, avrebbe mantenuto in Medio Oriente le posizioni di contrapposizione ed avrebbe anche continuato a premere sull’Europa per le sanzioni alla Russia, per via della politica espansionistica e soprattutto per l’annessione della Crimea, ma in fatto di guerra globale ci sarebbe andata cauta, come Obama. E come lui stesso, Putin, che in fatto di armi atomiche ci è andato sempre cauto. Sbandierarle è una cosa, un’altra è esagerare fino al punto da non potersi più tirare indietro dall’usarle.
I venti di guerra soffiano sempre più forti. “Una guerra nucleare potrebbe scoppiare da un momento all’altro nella penisola coreana”. Lo dichiara l’ambasciatore della Corea del Nord all’Onu Kim In Ryong. E aggiunge: “Gli Stati Uniti stanno disturbando la pace e la stabilità globale, insistendo in una logica da gangster”. Per il vicepresidente USA Mike Pence, al contrario, “l’era della pazienza strategica è finita” con la Corea del Nord. E, ancora, che gli Usa e i loro alleati utilizzeranno “mezzi pacifici o in ultima analisi qualsiasi mezzo necessario” per stabilizzare la regione. A sua volta Trump, nell’augurarsi che la “brutta storia” si concluda con una soluzione pacifica, afferma che però i nordcoreani: “Devono comportarsi bene”. Che vuol dire tutto e il suo contrario. “Comportarsi bene” significa stop agli esperimenti nucleari? Eppure Kim Jong Un, dopo che c’è stato l’ultimo lancio missilistico fallito di Pyongyang, a poche ore della grande parata che doveva celebrare il nonno fondatore, non può accettare uno smacco del genere proprio in pieno braccio di ferro con l’odiata America. L’escalescion degli esperimenti nucleari continuerà con maggiore intensità perché la Repubblica Popolare “Democratica” (sic) di Corea e il suo leader non possono accettare smacchi del genere. Un momento di vera crisi il mondo l’ha già vissuto all’inizio degli anni sessanta. Il tentativo da parte degli americani d’invadere Cuba, nell’aprile del 1961, e lo spiegamento difensivo nell’isola di Fidel Castro di missili nucleari sovietici scoperto dagli americani il 14 ottobre del 1962, portò al braccio di ferro delle due potenze nucleari. Dopo giorni di tensione, Nikita Chruščëv, vista la determinazione di Kennedy, ordinò il ritiro dei missili in cambio della promessa di non invasione dell’isola e del ritiro dei missili Jupiter installati nelle basi di Turchia e Italia (Basilicata e Puglia), avvenuto sei mesi più tardi. Andò proprio bene al mondo anche per la mediazione di Giovanni XXIII che esortò i due contendenti a darsi una calmata. “Promuovere, favorire, accettare trattative, ad ogni livello e in ogni tempo, è norma di saggezza e prudenza, che attira le benedizioni del Cielo e della terra” Così, tra l’altro Papa Roncalli invitava i due contendenti a “ragionare” per la sopravvivenza del mondo. Altri tempi ed altri uomini.
Visto che Putin potrebbe avere la colpa della vittoria di Trump, allora dovrebbe darsi da fare per assumere il ruolo del “mediatore” che fu di Giovanni XXIII nella crisi cubana. Certo, non con le stesse parole ed argomenti. Guadagnerebbe la posizione di primo attore sulla scena, ma anche avrebbe la possibilità di evitare un conflitto nucleare nel quale, in caso di scoppio, non si potrebbe tirare indietro.
Da queste congetture nasce spontanea un’invocazione non terrena: “Che Dio ci aiuti”, non siamo proprio ben messi in questo periodo in fatto di uomini e di idee per far girare il mondo normalmente. “Che Dio ci aiuti”, appunto.
Elia Fiorillo