In un Paese dove onesti imprenditori si tolgono la vita per la vergogna di non poter più pagare i dipendenti, dove padri di famiglia si trovano a 50 anni senza occupazione, dove terminare gli studi non garantisce l’immediato ingresso nel mondo del lavoro, i sindacati sono oggi chiamati a tutelare “gli ultimi”, gli inoccupati e i disoccupati in nome di una giustizia sociale che sebbene agonizzante può essere ancora, almeno in parte, ristabilita.
Basta con i qualunquismi dei sindacalisti collusi per proprio tornaconto con le aziende, che comprano e vendono lavoratori per arrampicarsi verticalmente nei vari settori produttivi. Dietro ogni figura sociale, istituzionale, pubblica c’è un essere umano, con i propri pregi e le proprie debolezze, corrotto o onesto, ligio al dovere o servo del sistema.
Rinunciare in un momento tanto drammatico per il Paese sul fronte occupazionale al ruolo del sindacato equivale a perdere qualsiasi speranza di successo in una lotta pacifica votata alla creazione d’occupazione, alla stabilizzazione di quella precaria, con particolare riferimento al settore degli stagionali, a condannare definitivamente alla disperazione di un futuro incerto intere generazioni.
Il tempo scorre inesorabile e porta via le ultime energie in chi si aggrappa alla disperazione per non arrendersi alle logiche ambigue di una società che premia sempre e solo i più forti creando un dislivello tra chi “può e non può” impressionante.
Il 1 maggio per ripartire: dialogo moderato e obiettivi concreti
Dialogo moderato con i sindacati e le aziende per il raggiungimento di obiettivi concreti in tempi utili: inutile e controproducente esasperare i toni di trattative occupazionali che non devono finire nelle mani di chi magari ha beneficiato per decenni di accordi sottobanco con i datori di lavoro approfittando della propria posizione e che oggi vorrebbe impartire lezione di moralità improvvisandosi, dietro le quinte, Che Guevara.
Il Che, quello vero, era un rivoluzionario dal modus operandi discutibile ma trasparente, un medico, una persona di cultura che ha dato la vita per una causa nella quale ha creduto sino all’ultimo senza scendere a compromessi con alcuno. A lui quindi, condividendone o meno l’ideologia, tanto di cappello per coerenza e linearità d’espressione politica. Questo 1 maggio dovrebbe scuotere le coscienze di chi potrebbe realmente cambiare in meglio questa nostra Italia: sinceramente non ci crediamo più di tanto…ma sotto sotto continuiamo a sperarci.
Alfonso Maria Liguori