In queste ore carabinieri e magistratura stanno monitorando la situazione: pochi giorni fa è ripartita la caccia alle piantagioni di cannabis sulle aree demaniali dei Lattari e non è la prima volta che le forze dell’ordine si trovano difronte ad incendi appiccati ad hoc.
La nube che ieri si è sprigionata dall’incendio a Gragnano è rimasta visibile per molte ore a centinaia di metri di distanza.
Incendi a Gragnano e in tutti i Lattari: l’inchiesta
Quella che fino a qualche anno fa era solo una teoria, qualche anno fa è stata oggetto d’indagine da parte di polizia di stato, corpo forestale e Procura della Repubblica di Torre Annunziata.
Il metodo utilizzato per appiccare i roghi riguarda l’utilizzo di micce a combustione lenta ricavate da sacchi di juta. Le micce vengono imbevute di combustibile come il cherosene e poi tenute insieme attraverso il fil di ferro. In questo modo le micce possono bruciare anche per un’ora e mezza prima che scoppi l’incendio vero e proprio, con i piromani già lontani.
Una volta bruciato, il bosco produce una cenere composta da fosforo, potassio e azoto. Fertilizzanti naturali, insomma. A quel punto bisogna solo seminare per ottenere una piantagione di cannabis. Le indagini di forze dell’ordine e pm oplontini, perciò, si sono tutt’altro che fermate.
Lo scorso anno il nucleo specializzato di repertazione della forestale e la polizia scientifica ha avviato una serie di rilievi al fine di individuare ogni traccia dei criminali che dovranno rispondere del reato di traffico di sostanze stupefacenti e di incendio boschivo.
Nelle prossime ore potrebbero esserci sviluppi in merito alle indagini in corso.