Ferraro, 56 anni originario di Casal di Principe, è attualmente detenuto dopo essere stato condannato dalla Cassazione, nel 2015, con sentenza passata in giudicato a 5 anni e 4 mesi di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, perché ritenuto imprenditore e politico colluso e a disposizione soprattutto con le sue aziende, considerate “imprese mafiose”, dei reggenti del clan dei Casalesi, in particolare delle fazioni Schiavone e Bidognetti.
Una condotta che avrebbe rafforzato il clan e che, secondo i giudici, sarebbe andata avanti almeno dal 2000 in poi e comunque già prima della sua elezione al Consiglio della Regione Campania avvenuta nel 2005. Si tratta di un successo dello Stato sul crimine organizzato con particolare riferimento alle metastasi del sistema, ovvero ai cattivi rappresentanti della politica, delle forze dell’ordine e delle istituzioni collusi con i clan.
Sono proprio loro a complicare enormemente il lavoro degli inquirenti, ad agevolare delinquenti della peggior risma a tutto danno della società civile. Un fenomeno talmente diffuso da rasentare ormai l’osceno. Contro questa insidia nei confronti della Sovranità della Repubblica onesti servitori dello Stato, uomini e donne in divisa pronti a dare la vita (letteralmente) per garantire la pubblica sicurezza in un Paese che deve tanto a questi anonimi eroi del quotidiano.
Questo il senso del sacrificio di Giudici come Falcone e Borsellino, degli uomini di scorta immolatisi per tutelare fino all’ultimo due alte cariche dello Stato, di chi con il proprio umile ma insostituibile contributo consente a noi di vivere in un’Italia troppe volte violentata da logiche mafiose senza scrupoli.
Alfonso Maria Liguori