C’era una volta il Mezzogiorno, “segmentato, a pelle di leopardo, non più omogeneo nel sottosviluppo”. Così, con linguaggio immaginifico, gli studiosi degli anni ottanta descrivevano il Sud, con relativa “questione meridionale”. Di anni ne sono passati tanti. Sempre meno si parla di Sud e di relative problematiche complessive come se non ci fossero più, fossero sparite. E’ rimasta la Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, a rilanciare ogni anno col suo rapporto i problemi reali che attanagliano questo pezzo del Paese. E a sottolineare con la sua azione di studio che “non c’è crescita per l’Italia senza lo sviluppo del Sud”, come andava ripetendo il meridionalista Giustino Fortunato.
Ma, forse, la “questione meridionale” è passata sotto silenzio, pur essendo sempre presente ed opprimente per l’Italia, per via della riforma del titolo V, parte II della Costituzione, avvenuta nel 2001, che ha creato non uno “Stato Federale”, come si ipotizzava, ma una vera e propria “Repubblica delle Autonomie”. Ben vengano allora studi e convegni che riportino nella discussione generale riflessioni sulla “nuova questione meridionale”.
E’ un’Italia raffigurata alla rovescia, con la Sicilia in alto e il Nord capovolto al Sud, quella rappresentata sulla copertina del libro di Massimo Milone intitolato “Dal Sud per l’Italia. La Chiesa di Papa Francesco, i cattolici, la società”. Ci sono interviste al card. Crescenzio Sepe e al presidente di Confindustria Vincenzo Boccia. Oltre a contributi di Abete, Acocella, Borgomeo, Cogliandro, Cutolo, Marrama. Certo, un testo che guarda ai problemi del Sud con occhio centrato all’azione dei cattolici non sempre coerenti con il messaggio evangelico, specie quando ricoprono cariche pubbliche. Ma sicuramente un contributo, insieme al convegno organizzato dalla Fondazione “CON IL SUD” e moderato da Carlo Borgomeo, per aprire uno spiraglio di riflessione su una tematica attualissima.
Per mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, i cattolici non devono cedere né al fatalismo, né ai piagnistei quando si parla di Mezzogiorno, ma avere il coraggio di “metterci la faccia”. “I cattolici in politica – afferma mons. Galantino – non siano dei replicanti che – solo sotto bandiere diverse – finiscono per sfoggiare atteggiamenti vecchi, inadeguati e, in fin dei conti, incoerenti nei confronti dell’ ispirazione cattolica”. Ma devono essere dei combattenti perché: “Non ci si può̀ arrendere di fronte alle inevitabili e riconosciute difficoltà”.
Carlo Borgomeo, nell’aprire il dibattito, si pone una domanda: “Ma il sociale viene prima dell’economico?”, per quanto riguarda la nuova questione meridionale. E la risposta che si dà è perentoria: “Sì”. Scriveva Guido Dorso nel 1945: “Se il Mezzogiorno non distruggerà le cause della sua inferiorità da se stesso, tutto sarà inutile”. Per raggiungere questo obiettivo prioritario, per Borgomeo, bisogna mettere “al primo posto la scuola, a partire da quella dell’obbligo; poi i servizi sociali; poi il buon funzionamento della giustizia e delle strutture periferiche della Pubblica Amministrazione; in fondo il sostegno alle attività produttive, con interventi puntuali e selettivi”.
Per Giuseppe Acocella se si vuol vincere l’eterna arretratezza del Mezzogiorno bisogna puntare sulla “Cultura della responsabilità come cultura del bene comune, cultura della cittadinanza come cultura di responsabilità verso il bene comune, cultura dell’amministrazione e dell’impresa come rifiuto dell’illegalità istituzionale e non, che inceppa il funzionamento dei meccanismi amministrativi”. Insomma, cultura prima di tutto. Ma anche la tanto vituperata Cassa del Mezzogiorno, tra le sue varie attività, aveva quella della formazione dei giovani. All’inizio degli anni 60 chi scrive partecipò a Milano, presso la Società Umanitaria, ad un corso di formazione della durata di un mese sulla “psicologia di gruppo e della personalità”, con visite, tra l’altro, all’allora prestigiosa Olivetti ed alla Magneti Marelli. Anche allora l’idea che il Mezzogiorno avesse bisogno di “nuova cultura” era presente. Peccato che, come spesso avviene in Italia, troppo spesso le clientele, gli interessi di parte hanno la meglio “sul bene comune”.
Già nel 2010 la Svimez avanzava l’ipotesi di affidare il compito progettuale ad una Conferenza delle Regioni meridionali, in stretta relazione con la presidenza del Consiglio. Anche nel rapporto 2016 parla di “coordinamento e unitarietà della programmazione e una chiara strategia sovraregionale”. L’ipotesi dell’Associazione non ha avuto seguito. Forse sarebbe il caso che le forze sociali e i sindacati, visto che la tematica Mezzogiorno è sempre nelle loro priorità, ipotizzassero una Conferenza per il Sud a scadenza annuale. Potrebbe essere un grande stimolo per la politica.
Elia Fiorillo