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Incendi sul Vesuvio: la brutta storia di una morte annunciata

incendi sul vesuvio

Brucia il Vesuvio. Brucia, ancora, la Montagna, come la chiamano i vesuviani, con affetto. E muore un territorio, tra i più belli che esistono al mondo. Dall’imbrunire di ieri all’alba di oggi (ma prima, già da alcuni giorni, il vulcano risultava assediato dalle fiamme e dai loro veleni), tre, quattro, cinque colonne di fumo si alzano e si fondono, diventando una un’unica grossa, estesa, brutta, zozza nuvola. Acre. Che infetta i polmoni e arde in gola.




Brucia da diversi giorni. Prima ha bruciato tra Torre del Greco e Ercolano, poi a Nord, sul versante di Somma – Ottaviano. Vanno in fumo ettari di sottobosco; centinaia di pini; muoiono animali; altri non trovano più il loro habitat naturale. E muore la gente vesuviana. Affogata tra il fumo degli alberi carbonizzati e avvelenata dalla monnezza delle discariche (passate e recenti, note o nascoste) sepolte sotto qualche metro di terra. L’Ente Parco fa quello che può. Ma più spesso non può, per sofferenza di organici, di mezzi e di fondi.

Ogni anno è la stessa storia. Di questi tempi ci sono gli imbecilli, i malati, i criminali che si esercitano a fare danno al territorio. E alla gente che ci vive. Chi sono? Come si muovono? Dove trovano complicità e connivenze. Sono soltanto “malati per il fuoco”, gente la cui salute mentale è in precarie condizioni e dunque esprime malessere e follia in tale maniera, oppure si tratta di criminali? Delinquenti della specie peggiore? Quelli che stanno al servizio di chi vuole smaltire a costo basso “pezze” e materiali provenienti da scarti di lavorazione, senza passare per centri e siti autorizzati?

E ovviamente risparmiando sui costi di gestione dell’opificio. Risorse vitali (gli alberi si “mangiano” l’anidride carbonica e producono ossigeno attraverso la fotosintesi clorofilliana: anche i bambini ste cose le sanno) che se ne vanno in fumo. Spreco di mezzi e risorse: canadair, elicotteri (il loro impiego pesa sulla collettività e sottrae ste somme da investimenti sul territorio); e di uomini, Vigili del fuoco, Protezione civile. Servirebbe una operazione di intelligence per individuarli e stanarli. Un coordinamento non stop tra forze dell’ordine e istituzioni (Parco e Regione) che consentisse di tenere sotto un controllo capillare il territorio. E leggi severe.




Quello che codesti criminali fanno è assimilabile agli attentati kamikaze. Un uomo che si fa esplodere non ne uccide di più di quello che appicca un incendio in un bosco, in un parco nazionale. Ovviamente, i morti e i danni si vedono a lunga scadenza. E, sarebbe necessaria anche la certezza della pena. Esemplare. In maniera da scoraggiare chi volesse emularli, per interesse e guadagno (stesse pene per chi, datore di lavoro o proprietario di fabbrichetta, gli ha ordinato di incendiare gli scarti di lavorazione), imbecillità o follia. Ma è necessario fare presto. Muoversi velocemente.




C’è un adagio, un detto, antico di duemila e duecento anni: Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur che vuole dire: “Mentre a Roma si discute Sagunto (città della Spagna, assediata da Annibale, e prossima alla caduta) Sagunto viene espugnata”. E che potrebbe essere ben adatto alla situazione contingente, che vede enti e istituzioni discutere da anni sul problema degli incendi nel Parco del Vesuvio: Mentre in alto si discute, il Vesuvio muore bruciato.

Ernesto Limito

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