Bene. Si fa per dire. Il Vesuvio brucia. Da ore. In maniera terribile. Bene, cioè, male. Il pensiero va ai tanti amici settentrionali, appartengano essi a uno schieramento o a un altro (non siamo razzisti, noi), abbiano o meno sulla testa il segno distintivo e d’appartenenza a una fazione: le corna, ebbene, questi amici che per anni hanno invocato la Montagna nostra, esortandola a lavarci con il fuoco, credo che oggi siano stati accontentati. Ovviamente, c’è stato un piccolo disguido. Da parte della Montagna, s’intende. Lei non ci ha messo mano a sta cosa.
Non ha eruttato e nemmeno emesso una bella e copiosa lingua di lava che, levati, avrebbe fatto godere e rigodere questi amici, ché in questo modo si soddisfano. La mano, anzi più di una mano ce l’abbiamo messa noi. Visto che il Vesuvio non si mostrava propenso a esaudire i loro insistenti desideri, abbiamo provveduto noi alla bisogna. Ci siamo lavati da soli, con il fuoco, senza nessun aiuto. Così poi non ci possono accusare d’aver mandato le squadre ad aiutarci, che pesiamo sempre sulle loro spalle. Che sfruttiamo le loro migliori risorse e organizzazioni.
Gli incendi, il fuoco, i fuochi, ce li siamo appiccati noi. Ne sentivamo la necessità. Chissà quanto tempo era che non si vedevano così belli come li abbiamo visti oggi. Eh, anche in questo siamo maestri. Tu dici: uno appicca un incendio nella pineta e finisce tutto là. Nossignore. Non scherziamo. Dovessero arrivare i forestali e lo spengono subito subito? Non è cosa. E poi che soddisfazione gli diamo agli amici del nord? Allora ne inneschiamo più di uno? Due? Non va bene. da cinque in poi è il numero giusto. Di più. Facciamo in modo che tre o quattro di loro s’incontrano e si mettono assieme in un unico grande e bel falò.
Fatto. Insomma facciamo come quello che stava raffigurato sulle cinquanta lire del vecchio conio: completamente nudo dava martellate a, non si capisce bene, qualcosa messa tra l’incudine e il martello. Fatto. Anche questo. L’incendio è riuscito. I giornali e i loro amanuensi hanno versato, e verseranno, fiumi di parole (marò è chi è ‘a Jalisse), i canadair e gli elicotteri, acqua salata senza risparmio. L’acqua di mare è gratis. Siamo sfruttatori anche in questo.
Qualcosa sta ancora appicciato. Molto si è spento. Resta l’abbruciato: il territorio e qualche altro elemento del corpo della gente perbene. Ma vuoi metter la soddisfazione di aver tappato ancora una volta la bocca di quelli di sopra; di quelli che hanno le corna sugli elmi che tengono in testa? Quelli che, come disse De Crescenzo, “quando noi eravamo gay (veramente disse “ricchioni”… – ovvero che eravamo magnogreci e dunque esprimevamo il massimo della civiltà – ma poiché non si possono usare termini poco signorili, ci asteniamo e dunque non lo diciamo apertamente ma tra parentesi) loro stavano ancora sugli alberi coperti con le pelli d’animali. Ecco, a lorsignori: noi con il fuoco ci laviamo da soli. E dopo diamo una bella lustratina pure al Vesuvio. Anzi, lo facciamo in contemporanea. Modestamente. Tiè!
Carlo Avvisati