Per tutta la durata del concerto di Tiziano Ferro di ieri allo stadio Arechi ho sperato e pregato. “Signore, chiunque tu sia, ovunque tu sia, aiutaci”.
Ho pregato per i monti che intorno andavano a fuoco, per la cenere che cadeva sulle nostre teste, per i fumi nocivi che noi e altri inalavamo ma principalmente ho pregato affinché il terrorismo si fermasse lontano da Eboli e vicini.
Psicosi? Eccessiva paura? Razionale autoconservazione?
Non so, so solo che eravamo in 30mila, un normale concerto estivo come tanti altri.
Sold out per Tiziano Ferro
Un bagno di folla, concentrazione rivolta al palco e a Tiziano che attira magneticamente le attenzioni di tutti su sé e paura che si verifichi quanto già successo in altri concerti europei così lontana.
E’ vero, non siamo più spensierati come un tempo. Troppe vite sono state annientate mentre, proprio come noi 30mila ieri, si godevano un momento di rilassatezza, di vita dedicata al più affascinante dei divertimenti, la musica.
Manchester è troppo vicina, il Bataclan non lo abbiamo scordato. Eppure i controlli effettuati allo stadio Arechi sono stati effimeri. E, non so perché, ma ho la sensazione che tale trattamento sia effettuato ovunque vi sia tanta, tanta gente.
Sicurezza scadente allo stadio Arechi
Ho visto gente entrare con borsoni termici, con zaini estensibili capaci di contenere Treccani, Quattrogatti e pure l’amico paninaro. Ho visto addetti alla sicurezza accertarsi che (non in tutti i casi) gli si mostrasse la zavorra aperta. Cosa importa di cosa vi sia sotto la carta argentata della pizza di maccaroni?
Sarà successo così anche in Inghilterra, soprattutto, e in Francia; troppa gente che chiede di entrare, spossata da ore di fila; poco personale incaricato di controllare cosa entrava in quella che sarebbe diventata una bolgia. E succede. Succede che si accelerino i tempi tralasciando il controllo approfondito e succede che “lui, il folle” entri e faccia ciò per cui è entrato.
Ogni richiamo è stato indirizzato alla bottiglia di acqua, non dovrebbe entrare. Non dovrebbero entrare bottiglie in vetro e lattine. Come quando si assiste a una partita, no?
Ma al concerto i tempi sono diversi, le modalità di attesa lunghe e le migliaia di formiche umane sono così vicine che pensare di dover uscire velocemente è impensabile.
Buffo che subito oltre il controllo del biglietto, ecco i venditore di acqua, di birra. Ecco la plastica, la lattina. Ecco che solo meno della metà dei prodotti venduti rispettava le canoniche indicazioni seguite all’ingresso di cui prima.
Quindi per difenderci dal terrorismo potremmo ricorrere a un muro altissimo creato con tappetti di plastica. Pare funzioni.
Anna Di Nola