Così si apre la prefazione di Giorgio Mulè, direttore di Panorama, al libro di Vincenzo Zurlo “Oltre la trattativa -Le verità nascoste sulla morte di Paolo Borsellino tra depistaggi e bugie”. Come un attento timoniere, in rotta verso la verità in un mare di atti giudiziari, Zurlo, come sottolinea Mulè riesce a non essere “risucchiato dai mulinelli più pericolosi intorno ai fatti di mafia e dell’antimafia: la distorsione della realtà”.
Sì, perché da quel lontano 1992, che strappò alla vita e alla lotta contro il Male nazionale, la mafia, prima Falcone e poi Borsellino, le acque hanno fatto in tempo a intorbidirsi, la verità a esser contesa tra i venti di una narrazione più necessaria che aderente alla realtà dei fatti.
“E’ alla fine degli anni ’80 che bisogna iniziare il viaggio”scrive ancora Mulè “per comprendere quello che accadrà nell’estate del 1992. E’ necessario iniziare da giovedì 21 settembre 1989 quando Giovanni Falcone interroga l’ex sindaco di Baucina, un piccolo paese in provincia di Palermo. Si chiama Giuseppe Giaccone, uno stimato professore universitario di algologia con un passato da sacerdote: è un democristiano e quando si presenta a Falcone è un uomo terrorizzato.”
Cosa teme l’ex sindaco Giaccone? Perché si reca risoluto dai carabinieri di Palermo della Caserma Carini, lì dove gestisce le operazioni un “signor” colonnello Mario Mori? Le sue rivelazioni, “l’alpha della tangentopoli italiana”:i meccanismi opachi che costeggiano l’aggiudicazione degli appalti pubblici, daranno vita a uno straordinario lavoro, condotto da Giovanni Falcone con il contributo di Mori e De Donno. Da quel fascicolo ripartirà, dopo la strage di Capaci, Borsellino, trovando a sua volta la morte.
Mulè, cronista di “nera” del giornale di Sicilia ai tempi delle stragi di Capaci e via D’Amelio, ricorda come l’informativa mafia-appalti, redatta da Mori e De Donno, venne colpevolmente tralasciata sin dall’inizio, par far strada alla presunta trattativa stato-mafia, al centro del “processo del secolo”, in corso a Palermo. Il direttore di Panorama non esita a definirlo, con Zurlo: una farsa, concludendo con logica disarmante e fiducia nel futuro:
“L’autore non ha la necessità di assumere l’onere della difesa, paradossalmente è l’accusa la sua migliore arma: perché non solo è contraddittoria e illogica, ma surreale. La storia dirà che il processo show e il processo “farsa” si riveleranno per quel che sono: un’impostura. E insieme il più grande affronto agli eroi dell’antimafia, a coloro che sono stati uccisi e a quelli sopravvissuti ai quali però è toccato vivere il tempo lurido dell’infamia”.