Presentato da Il Pozzo e il Pendolo in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli, l’allestimento, interpretato da Rosaria De Cicco, Marianita Carfora, Giuseppe Gavazzi, Peppe Romano, Alfredo Mundo, Gennaro Monti, Sonia De Rosa, Paolo Rivera, con la partecipazione di Rita Ingegno, Federica Grosso e Marco Amodeo, si avvale del disegno luci a cura di Sebastiano Cautiero, i costumi di Annalisa Ciaramella.
Siamo al 19 maggio 1793, Coletta Esposito, una giovane popolana di via Portamedina, uccide la figlia di pochi mesi e getta il corpicino esanime sul sagrato della chiesa, dove si stanno celebrando le nozze dell’uomo che aveva promesso di sposare lei e non quella donna vestita di bianco che stringe sottobraccio.
La donna, poco più che ventenne, assurge agli onori della cronaca per il suo terribile delitto, che richiama alla tragedia greca. La popolana dal nome oscuro sarà ribattezzata la Medea di Portamedina, e, in quel soprannome, la banalità del male acquista un accento epico. Coletta Esposito, nell’immaginario del popolo napoletano, cessa di essere una donna per trasformarsi in una fiera snaturata. Non possono esserci comprensione e compassione per un delitto che rappresenta un insulto all’amor materno.
Calpestare il più sacro e intoccabile dei sentimenti, imponeva una condanna esemplare: non solo lo “strascinamento” e la decapitazione, ma l’ignominia nei secoli dei secoli.
La messinscena di Annamaria Russo non tenta di dare risposte. Non esistono risposte per la disperazione che nasce dal sangue e si nutre di sangue, ma esistono solo domande dolorose, strazianti, che restano sospese sulla soglia dell’orrore e della compassione.