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Giancarlo Siani, a 32 anni dall’omicidio: oltre le commemorazioni

giancarlo sianiSenso di giustizia e amore per la verità: era Giancarlo Siani. Corrispondente da Torre Annunziata per “Il Mattino” di Napoli, scrisse di camorra. Era il periodo successivo al terremoto del 1980, la città oplontina fu fortemente colpita dalla scossa; era necessaria la ricostruzione. Fiumi di soldi arrivarono nelle casse comunali per gli appalti. Fu da allora che Giancarlo iniziò ad indagare sui rapporti tra clan e politica.


Condannato a morte da Felice Nuvoletta e Luigi Baccante, la sera del 23 settembre di 32 anni venne ucciso nella sua Mehari verde, sotto casa. I sicari aspettarono che tornasse al Vomero per sparargli dieci colpi di pistola alla testa.

Ci vollero 12 anni per condannare all’ergastolo Angelo e Lorenzo Nuvoletta e Luigi Baccante come mandanti dell’omicidio, Ciro Cappuccio e Armando Del Core quali esecutori materiali.
La storia del corrispondente da Torre Annunziata del giornale partenopeo è una ferita ancora aperta nel cuore di chi ha vissuto quel periodo violento, cupo, in cui la camorra non si faceva scrupoli a spargere sangue.

Ogni anno gli vengono dedicate manifestazioni e iniziative. Hanno preso il suo nome borse di studio, premi, associazioni; Siani sono le rampe che percorreva per andare a scuola, la sala conferenze de “Il Mattino” e tanti istituti scolastici.
Nel settembre 2015 la città oplontina rivide percorrere le proprie strade dalla Mehari verde, a trent’anni dall’omicidio.

Al di là delle commemorazioni, però, un frammento dell’immagine del volto di Giancarlo svanisce ogniqualvolta la legalità non viene rispettata da chi di questa parola si riempie la bocca. Da chi gli dedica strutture, giornate, iniziative, ma calpesta quotidianamente i diritti degli altri. Da chi non si sforza di trovare un parcheggio che non sia quello dei disabili, nonostante sia sanissimo. Da chi, oltre alla camorra, non modifica la mentalità camorristica perché conviene, perché così è abituato. Da chi fa finta di non vedere. Da chi si è rassegnato. Da chi fa il giornalista, ma è soltanto un impiegato.

Roberta Miele



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