A pensarci bene, nel Paese delle raccomandazioni a gogò, dove anche per la richiesta di un certificato di nascita ci si raccomanda per evitare la fila, c’è bisogno di qualche cosa per mettere ordine. Sì, per regolamentare, per regolare il flusso senza fine delle segnalazioni a favore “dell’amico o compagno”, o figlio, o nipote, o pronipote – e chi più ne ha, più ne metta –, per agevolarlo a superare il concorso universitario, o per l’attribuzione di una casa, o… per la qualunque.
Qualcuno ci ha provato a disciplinare la ricorrente pratica dei favori. Un presidente di una commissione d’esami andava ripetendo: “Io e i commissari che ho l’onore di presiedere accettiamo le segnalazioni a favore di questo o di quell’altro candidato”. Aggiungendo che però, a parità tra un candidato bravo e uno raccomandato, loro avrebbero scelto il raccomandato. Che grande passo in avanti, ma anche che frustrazione per l’onorevole, o sindaco, o giornalista, o magistrato, o… che richiedono, dall’alto del loro potere, il favore al “compagno, amico o camerata” commissario d’esame, e via proseguendo.
Ma come, così si limita il potere di suggerimento, di spintarella! Si demarca l’esorbitante catena dei favori, mettendo in campo un principio pernicioso, malevolo e soprattutto fuorviante. E che c’entra la parità di preparazione? Che c’entra la bravura o cose simili? Assurdità per umiliare la pratica più diffusa da sempre, se è vero che Aristotele già ai suoi tempi sosteneva che “la bellezza è la migliore lettera di raccomandazione”. Meglio precisare, ai tempi nostri, per “ottenere raccomandazioni”. Vedesi il caso “Vallettopoli” di qualche anno fa.
“Gli Italiani, questo popolo di santi, di poeti, di navigatori, di nipoti, di cognati”, come li definiva Ennio Flaiano, non possono avere limiti nella pratica della segnalazione. Insomma, mettere sullo stesso livello il bravo e il raccomandato diventa un vulnus insopportabile. E il “ciuccio”, quindi, secondo il presidente di quella commissione, non avrebbe mai potuto vincere il concorso. Un’ingiustizia, una vera iniquità. E che raccomandazione è questa?
C’è anche chi ha scomodato il Santo Vangelo, come Dino Verde, padre del “varietà” italiano, per fotografare in una battuta il fenomeno: “Il Vangelo secondo i concorsi statali italiani: beati gli ultimi (se raccomandati), perché saranno i primi”.
Ci sono poi i furbetti “raccomandanti”. Quelli che si mettono a disposizione per “qualunque cosa”, ma poi quando arriva la segnalazione da fare non fanno proprio niente. Se il petente vince il concorso senza che il suo padrino abbia mosso un dito, ecco la reazione nervosa di chi doveva raccomandare e non l’ha fatto: “O c’è stato un errore o il mondo sta cambiando. Come ha fatto questo a vincere senza la mia spintarella? Era bravo? E che vuol dire!”
Sì, è proprio vero come scrive l’anonimo. “In Italia la raccomandazione è una regola così ineluttabile che perfino le lettere, se vuoi esser sicuro che arrivino, vanno raccomandate”.
Pensieri di sbalordimento sono sicuramente frullati nella testa di quei sette docenti universitari di Firenze, quando hanno ricevuto la notifica degli arresti domiciliari per la presunta spartizione di cattedre e per concorsi truccati. La stessa cosa sarà avvenuta per gli altri ventidue professori che hanno avuto l’interdizione allo svolgimento delle funzioni di professore universitario per la durata di 12 mesi. Sarà la magistratura a stabilire se le accuse sono vere. Se il dolo veramente c’è stato, si può immaginare la giustificazione dei prof.: “Così fan tutt(e)i”, strumentalizzando il titolo dell’opera buffa di Wolfgang Amadeus Mozart.
In un libro pubblicato recentemente dalla casa editrice Giuffrè c’è la storia di un “particolare” concorso raccontato dal professore Cosimo Lorè. E’ quello per “uditore giudiziario” a cui partecipava la moglie di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, che non riuscì mai a terminarlo perché uccisa insieme al marito il 23 maggio 1992. Ma quel concorso viene contestato dal candidato Pierpaolo Berardi, che solo nel 2008, diciamo così, riceve giustizia (sic). Il Csm riconosce all’unanimità che gli elaborati di Berardi non furono mai esaminati dalla commissione. Fu scartato a priori. Conseguenze? Nessuna. Ecco, sarebbe il caso di “regolamentare” il finale di certe vicende come questa. Dove nessuno paga, tranne il candidato buggerato. Ma, soprattutto, trovare tutti i sistemi per educare alla “non raccomandazione”, con l’esempio che è un metodo pedagogico attivo eccezionale. A partire, ovviamente, da quelli che contano.
Elia Fiorillo