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Faida di Secondigliano e Scampia: svolta nell’omicidio del boss Gaetano Marino

Altro colpo di scena nelle indagini sulla faida di Secondigliano e Scampia: a uccidere il boss Gaetano Marino, fratello di Gennaro alias “Makkey” sarebbero stati Arcangelo Abbinante e Giuseppe Montanera. Nello specifico: Marino era stato freddato il 23 agosto del 2012 sul lungomare Circe a Terracina.




I killer lo centrarono con almeno 7 colpi esplosi da una pistola semiautomatica: a terra gli investigatori della Squadra mobile di Latina, diretti dal questore Alberto Intini, trovarono complessivamente 15 bossoli. Gli assassini si diedero poi rapidamente alla fuga su una Fiat Punto grigia.

Restò miracolosamente illeso un congiunto del boss presente sul posto al momento dell’agguato. Ad accusare i due Pasquale Riccio, ex killer e attuale collaboratore di giustizia. La colpa di Gaetano Marino, sarebbe stata quella di essersi avvicinato al gruppo della Vanella Grassi con l’intento di annientare gli Abete – Abbinante che nel 2012 erano impegnati in una sanguinosa guerra tra Scampia e Secondigliano per il controllo delle piazze di spaccio.




Sarebbero stati dunque individuati i responsabili di uno degli omicidi eccellenti della cosiddetta mattanza di Secondigliano: un vero e proprio bollettino di guerra a macchiare l’immagine di vaste aree dell’hinterland napoletano in cui si compivano anche più agguati nello stesso giorno. Oggi grazie ai pentiti si starebbe tentando di ricostruire i legami che univano un clan all’altro, tra alleanze di comodo e tradimenti eccellenti.

Una sorta di tutti contro tutti per il controllo dello smercio di droga: un business da capogiro per il quale i camorristi moderni sarebbero pronti a tutto, uccidendo senza alcuna pietà anche donne e bambini. Tanti, troppi soldi con i quali il sistema ha corrotto professionisti, infedeli servitori dello Stato, politici e imprenditori.




Ognuno aveva un prezzo , si poteva arrivare a chiunque bastava solo trovare la persona giusta. Un quadro deprimente che la dice lunga sull’implosione socio-culturale che per decenni ha penalizzato Napoli e la provincia. Della serie ì: il tamburi della camorra non hanno mai smesso, in nome del dio denaro, di suonare melodie di morte.

Alfonso Maria Liguori

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