Come sarà qualche secolo dopo per i samurai o per i cavalieri del Medioevo occidentale, anche nella Roma dell’epoca classica i gladiatori avevano un rapporto speciale con la propria arma, il gladio romano appunto.
Questi combattenti romani, schiavi o affrancati che fossero, vivevano una vita estremamente faticosa e stressante. Per loro erano previsti due o tre discese nell’arena ogni anno. E ad ogni battaglia mettevano a rischio la loro incolumità, o peggio la loro stessa vita.
Trascorrevano dunque il resto dell’anno ad allenarsi per sviluppare potenza e tecnica, entrambi elementi indispensabili per sopravvivere o per affrontare una morte decorosa.
Anche se le armi che impugnavano durante i “giochi” erano diverse, la maggior parte avevano un ruolo residuale. Si pensi, a titolo di esempio, che il giavellotto, veniva scagliato contro l’avversario all’inizio, ma immediatamente dopo, qualche altra arma prendeva il suo posto.
La spada diventava quindi essenziale e saperla maneggiare alla perfezione poteva fare la differenza tra la vittoria e la sconfitta. La sua forma permetteva al combattente di colpire sia di taglio, sia di punta; di proteggersi dietro uno scudo dal fendente avversario e di contrattaccare da una posizione ravvicinata. La presa era facilitata da un’elsa con un pomolo e da un manico in osso o in legno reso ruvido, in modo da rendere più agevole l’impugnatura per le dita.
Ma si trattava comunque di un oggetto ingombrante e soprattutto pesante.
Il gladio nella storia di Roma antica
Negli ultimi due secoli prima dell’anno zero, la lama del gladius hispaniensis arrivava ad una lunghezza di 68 cm, cui andavano aggiunti altri 10 cm per l’impugnatura; si trattava di un’arma estremamente pesante, potendo arrivare anche al chilogrammo.
Nel centro Europa, quindi a Nord dei territori romani, era invece in voga il cosiddetto gladio di Mainz (dal nome del luogo del suo ritrovamento), più leggero e maneggevole: la lama era lunga 50 – 55 cm per un totale di 65 – 70 cm e un’ampiezza di 7 cm. Il peso si aggirava sugli 800 grammi.
Alla fine del I secolo d.C. era invece in utilizzo tra le legioni romane il gladio di Fulham, un’evoluzione di quello teutonico: lama di 50 – 55 cm di lunghezza e 6 cm di larghezza, con punta triangolare, lunghezza totale della spada di 65 – 70 cm e peso di circa 700grammi.
Durante il I secolo d.C., si usava anche il gladio di Pompei: aveva una lunghezza di 45 – 50 cm per la lama (che era larga 5 cm) e di 60 – 65 per l’intera spada; peso di circa 700 grammi.
La lavorazione della lama
Come è facile notare, l’evoluzione del gladio romano porta verso un’arma progressivamente più leggera e più snella e corta. Questo facilitava il compito di chi l’utilizzava, fosse in guerra o all’interno di un’arena.
Ma la spada romana aveva anche dalla sua un’estrema resistenza ai colpi. Va infatti detto che il mondo classico padroneggiava, grazie anche all’esperienza maturata dagli Etruschi, la produzione di oggetti in acciaio. Le impurità del ferro così come lo si trova in natura, infatti, avrebbero reso l’arma eccessivamente fragile (la presenza di aria all’interno di un manufatto lo rende sensibile agli impatti).
I Romani invece scoprirono che aumentando il tenore di carbonio nella lega, si riusciva ad ottenere un acciaio via via più resistente, diminuendone al contempo il peso. In Europa quindi si realizzarono delle fornaci in cui i fabbri riuscivano a indurire il ferro dandogli la forma desiderata.
In tutti i quattro – cinque secoli del suo utilizzo, il gladio romano resta ciononostante un’arma pesante, il che obbligava i gladiatori (ma anche i soldati) ad avere una massa muscolare non indifferente e una resistenza nel tempo per affrontare la battaglia in tutta la sua durata.
L’importanza della dieta dei gladiatori
Per raggiungere questo obiettivo, oltre ad un allenamento duro e costante, la dieta assumeva un ruolo fondamentale.
Dato però che la carne era riservata ai ricchi, gli organizzatori dei giochi in arena avevano trovato delle soluzioni “economicamente accessibili”. Degli studi effettuati su dei resti di gladiatori individuati nei pressi di Efeso hanno mostrato come, rispetto alla media della popolazione, la percentuale di stronzio nelle ossa dei combattenti fosse doppia, mentre la presenza di zinco fosse bassa.
Il primo è un elemento di cui sono ricche le proteine vegetali, fornite dai legumi e dai cereali (e in parte dal latte di capra). Lo zinco si trova prevalentemente nella carne.
I gladiatori si nutrivano quindi a base di orzo, in particolare con zuppa di orzo e legumi, e di birra d’orzo. Quest’ultima poi veniva miscelata a cenere d’osso e legno carbonizzato: una soluzione che consentiva loro di rinforzare le ossa, aumentandone la quota di calcio, anche se aveva il difetto di aumentare le carie.
Si trattava inoltre di una dieta fortemente ingrassante; ma non a caso, dato che lo strato di grasso proteggeva il corpo del gladiatore dai colpi potenzialmente mortali.