Terzigno: il Vesuvio avvelenato dalle discariche abusive

Per un pezzo di territorio bonificato altre dieci aree subiscono la violenza dello smaltimento illegale

Prima le discariche, legali o abusive. Poi gli incendi devastanti di questa estate. Adesso di nuovo le discariche, ma fuorilegge. Non c’è pace per il Vesuvio che affoga ancora una volta nei veleni prodotti dalla plastica, dagli scarti di lavorazione, dalle vernici e dai rifiuti di ogni genere che si accumulano nelle mille discariche fuorilegge.

Per un pezzo di territorio bonificato altre dieci aree subiscono la violenza dello smaltimento illegale. Le discariche abusive nascono difatti come funghi. Basta una notte e quella stradina che il giorno prima era pulita e percorribile adesso te la ritrovi piena di rifiuti e puzzolente per i miasmi.

Come in via Vicinale Mauro Vecchio, nel comune di Terzigno, una stradina che collega via Guglielmo Marconi con la strada Provinciale Zabatta. Là, la sede stradale è ingolfata da rifiuti di ogni genere. E questo nonostante la presenza costante delle forze armate che battono il territorio palmo a palmo, anche per scongiurare il ripetersi della tragedia dell’estate scorsa, allorché mani criminali hanno sistematicamente bruciato per un mese intero il polmone verde del vesuviano.

Come, quando e, principalmente, chi fa scempio della natura sarà uno degli obiettivi che l’Ente Parco metterà nel mirino tra non molto. Chi lavora per la protezione della flora e della fauna del Parco sa bene che pezze, scarti di lavorazione e sfabricina arrivano tanto dalla miriade di fabbrichette fuorilegge che confezionano abiti, jeans e giubbini quanto dal settore edile.

E, mentre si aspettano risposte dalle forze dell’ordine affinché carabinieri forestali e della locale stazione facciano sentire il «fiato sul collo» a chi avvelena il Vesuvio, i proprietari dei vigneti confinanti  con l’immondezzaio continuano a segnalare,  con frequenza quasi  quotidiana, al comune di Terzigno, la presenza di cumuli di veleni  accanto ai loro filari di piedirosso e coda di volpe. Servirà a far partire controlli più capillari?

Romilda Barbato

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