Faito: l’estate di fuoco del Paese ha interessato anche il monte e l’area stabiese e dei Monti Lattari. Gli incendi sono andati avanti per settimane. Ai primi di agosto c’è stato il primo rogo forse accidentale nei pressi del traliccio dell’Enel al di sotto del belvedere, poi il fuoco ha raggiunto il Vallone Scurorillo ed alcuni sentieri. A Ferragosto un nuovo incendio, stavolta doloso, al Faito, poi è stato attaccato il lato di Pimonte. In precedenza, a luglio, un altro rogo partito da Montepertuso a Positano è arrivato fino alla Conocchia del Faito.




incendio-monte-faitoLa sensazione, in alcuni casi, è che l’attività di spegnimento non sia stata efficace, al punto che gli incendi sono andati avanti fino all’esaurimento. Ci sono state polemiche sulle attività di coordinamento dei soccorsi. Tutto riconducibile a due fattori principali: cause ambientali (siccità e vento, sottobosco molto sporco); cause umane (mezzi a singhiozzo e concomitanza con altri incendi nella regione). Il Faito è completamente bruciato lungo il suo perimetro. Quello che è rimasto vivo è il cuore, il faggeto.

Con l’approssimarsi della stagione fredda c’è da interrogarsi sull’aumento del rischio idrogeologico, specialmente per il versante di Castellammare di Stabia del Faito. Il carico di prodotti piroclastici instabili con le piogge potrebbe franare sulle città in quanto la copertura arborea è ormai compromessa. Oltre ai temporali il rischio è l’impoverimento della montagna laddove prima cresceva prima il bosco: l’incendio potrebbe aver portato la desertificazione.




Su questi temi abbiamo intervistato il presidente dell’Ente Parco Regionale dei Monti Lattari Tristano Dello Joio. Sul fronte del rischio idrogeologico la Regione ha già stanziato 70mila euro per la messa in sicurezza della strada provinciale 269 di Vico Equense e 10mila euro per la prevenzione del rischio idrogeologico sul Monte Pendolo, mentre è pronta a partire un’accurata opera di manutenzione di via Quisisana, sul versante stabiese del Monte Faito.

Incendi Monte Faito: l’intervista al presidente

Presidente, abbiamo assistito ad un agosto nero dal punto di vista degli incendi. Atristano dello joio fuoco spento, si è fatto un’idea del perché è successo tutto questo? Chi potrebbero essere i responsabili dei roghi “inestinguibili”?

Non abbiamo avuto ancora la soddisfazione di conoscere le loro generalità purtroppo. Sono sicuramente dei pazzi, dei disperati che, oltre a compiere dei veri e propri attacchi terroristici al parco, fanno del male al nostro senso morale di voler custodire il verde. Penso che ci siano persone che non riflettano sull’importanza dell’indotto dell’ambiente. Persone ignoranti o cattive che non si rendano conto di danni fatti non solo al presente ma soprattutto alle generazioni future, da qui a vent’anni. Regna un disprezzo verso il futuro.

Quindi siamo difronte ad un problema culturale e sociale oltre che criminale.

Certo, ed è un problema che è stato anche ingigantito da questa prova generale a livello nazionale.

In quei momenti concitati si è parlato di mezzi aerei utilizzati a singhiozzo e di un tangibile cattivo coordinamento nelle attività di spegnimento. Lei che ha vissuto l’emergenza in prima persona, sul campo, quei giorni, che idea si è fatto?

La mia nomina è avvenuta a metà maggio, mi sono insediato a metà luglio quando c’è stato il passaggio di consegne. Non voglio tessere elogi a mio favore, ma da quel momento il Parco ha cominciato a vivere, e si è cominciato a sentir parlare di Ente Parco non solo sui cartelli stradali, si è cominciato a capire che esiste un’autorità, un garante dell’ambiente. Per le attività del Parco la situazione era all’anno zero. Siamo ancora all’anno zero, solo un po’ più pronti a causa di situazioni ed esperienze che ci hanno forgiato in questo battesimo di fuoco. Non c’era una linea antincendio, né guardie ambientali, né accompagnatori escursionistici. Il parco funzionava solo per pareri urbanistici mentre per tutto ciò che riguarda la dinamicità del Parco siamo alla frutta. Oggi stiamo lavorando per educare la gente, per svilupparne il senso civico.




Per quanto riguarda il capitolo incendi la Regione ha fatto la sua parte. Le prove generali della Riforma Madia hanno reso un po’ difficili il collaudo generale del sistema. La Regione è stata pienamente attiva con le figure dei Dos (Direttore Operazioni Spegnimento, ndr), arrivate sui luoghi dell’emergenza dopo il sollecito del primo allarme. Ciò avveniva ogni volta che si chiamava la sala operativa di Napoli o di Salerno, a seconda della provincia nella quale si trovava il rogo. Anche gli interventi di elicotteri e canadair ci sono stati.

incendio faito 1La difficoltà principale è stata rappresentata dal numero di emergenze contemporanee. Avere il Vesuvio e poi il Faito in fiamme ha fatto sì che i numeri che dovevano essere a copertura del pericolo andassero in difetto. Il numero di roghi era veramente assurdo, tanto che a livello nazionale Roma ha dovuto chiedere altri canadair alla Francia. Ma la Regione ha fatto il suo massimo con elicotteri e aerei, lo Stato stessa cosa. Non c’è stata una carenza di flotta aerea, bensì una concomitanza eccezionale di eventi. Ci sono stati incendi anche in Sicilia, in Veneto, in Puglia. Regia di camorra, regia perversa? Questo lo lasciamo alle autorità competenti che sono più informate di noi e che conoscono gli equilibri dei territori.

È possibile che il cambio della catena di comando dello spegnimento da un anno all’altro, da corpo forestale dello stato a protezione civile, possa aver influito sulla situazione? Chi coordinava lo spegnimento da terra era preparato a farlo?

I Dos, che gestiscono il traffico aereo da terra, ovvero canadair ed elicotteri regionali, sono persone formate e abilitate con corsi di formazione dei vigili del fuoco. Dunque le competenze ci sono. Le difficoltà sono nate nel passaggio effettivo di consegne, da quando c’è stato l’annullamento del corpo forestale che aveva come primo compito la difesa dell’ambiente e l’antincendio. Oggi non esiste più un antincendio boschivo: con la soppressione della corpo forestale queste persone sono state assorbite da vigili del fuoco e carabinieri. Oggi i carabinieri forestali non hanno una linea antincendio, non è prevista. Gli unici sono i vigili del fuoco ma, in un ordine di priorità, noi figuriamo al terzo posto. Prima c’è il centro abitato, poi le infrastrutture e poi i boschi e le aree verdi.




È quindi il momento di mettere a regime i Parchi orfani della salvaguardia boschiva. Gli Enti Parco si devono attrezzare sia con una linea di protezione civile interna sia con l’antincendio. Noi siamo in attesa che il Comune di Castellammare ci possa fornire alcuni locali all’interno della Reggia di Quisisana. Dal 1 giugno le leggi sono cambiate e sono cambiati anche gli adempimenti per il Parco. Siamo delegati, oltre a fornire sentiti e pareri, anche a molto altro, ed abbiamo perciò l’esigenza tecnica di allargarci. È in procinto di nascere un grande sodalizio tra noi e i carabinieri forestali di Castellammare con un protocollo d’intesa. Siamo prossimi ad una stretta collaborazione per far sì che loro, che erano le persone dedite alla sorveglianza dei boschi, possano tornare a contatto con l’ambiente ed il territorio.

Purtroppo paghiamo lo scotto di certe situazioni politiche con territori abbandonati e depredati come il monte Faito. Noi contiamo sulla nostra presenza a Quisisana per fondare un presidio logistico effettivo e dinamico con i carabinieri forestali. Stiamo aspettando anche la Regione Campania per un accreditamento formativo. L’obiettivo è una scuola di formazione da creare in collaborazione con i carabinieri forestali per formare guardie ambientali e personale addetto all’antincendio boschivo. Insomma, stiamo lavorando per la nascita di un polo dell’ambiente a Quisisana che possa far appassionare i cittadini al rispetto per il territorio. Per il 2018 vogliamo creare figure di protezione civile interparco tramite associazioni di protezione civile. Le associazioni che aderiranno a questo progetto faranno capo all’Ente regionale che potrà essere più autonomo in alcune scelte. Dobbiamo far fronte alle situazioni create dalla Riforma e il mio obiettivo è fare del Parco un Ente autonomo sovracomunale e decisionale interno.

Il post incendio

Per il post incendio come si sta muovendo il Parco Regionale dei Monti Lattari? Nello specifico, sono stati effettuati censimento e perimetrazione delle aree andate a fuoco?

Noi abbiamo adempito agli obblighi di legge, con i Comuni chiamati a fare un censimento di tutte le aree interessate dagli incendi per individuare le aree a rischio idrogeologico e definire gli interventi. Lo stanziamento di 70mila euro è scaturito dal tavolo tecnico tra Genio Civile, Ente Parco e i sindaci durante il quale abbiamo individuato le aree principalmente interessate e poi abbiamo poi interessato la Regione.




Quali sono stati i danni all’ecosistema? Qual è lo stato di flora e fauna delle varie stazioni del Faito?

Nell’ordine delle priorità, ciò è secondario. L’obiettivo principale è ridurre il pericolo con le prime piogge del mese invernale. Vorremmo fare tutto e c’è la buona volontà anche di programmare ma la priorità è la sicurezza. Per l’ecosistema ci stiamo adoperando anche per una sorveglianza nelle aree incendiate affinché non venga effettuata caccia o bracconaggio. C’è una legge che vieta in maniera categorica la caccia per cinque anni. Ci sono tante zone anche più ricche dove praticarla. Ma manca il senso di civiltà: a chi ce l’ha lo dobbiamo rispolverare, per chi non ce l’ha lo dobbiamo imporre.

Su fondi e stato di emergenza invece a che punto siamo?

Ad oggi lo stato di emergenza non è stato dichiarato. La Regione sa ed è cosciente della pericolosità, ma non c’è nessuna dichiarazione di stato di calamità. Anche perché le calamità sono per eventi peggiori. Siamo in una situazione critica ma non dobbiamo confondere le cose, non prendiamoci in giro con richieste assurde. L’emergenza c’è, certo, ma sui nostri territori dura da più di vent’anni. I tecnici regionali sono più esperti di noi in merito a questo.




Stiamo lavorando per risolvere il problema a Quisisana a Castellammare ma la gente dovrebbe avere cultura di cosa si intende per rischio idrogeologico. Anche alcuni politici sbagliano e solo per un discorso spesso di campagna elettorale. Molti collegano il discorso del famoso bando dei 10 milioni di euro di Castellammare alla riapertura della strada per Faito. Ma si tratta del solo ripristino e messa in sicurezza di tutto il costone di montagna che va da Faito a Castellammare. La strada non rientra in quel capitolo. Si fa confusione. Intervenire sul dissesto idrogeologico significa far sì che il Faito non arrivi all’Acqua della Madonna. Rendere la strada percorribile è un’altra cosa.

Francesco Ferrigno



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