“Siamo stati noi, confessiamo di aver partecipato all’omicidio di Genny Cesarano”. Queste le dichiarazioni rimbombate ieri in aula proferite dal 20enne Luigi Cutarelli e da Mariano Torre, due dei quattro killer che la notte del 6 settembre del 2015 uccisero il 17enne reo solo di intrattenersi con alcuni amici nel suo quartiere. Mandante del raid fu Carlo Lo Russo.
L’ex boss di Miano, attualmente collaboratore di giustizia, spiegò che quella stesa avrebbe dovuto punire il boss nemico Pietro Esposito (ucciso l’anno successivo), che aveva fatto sparare colpi di pistola proprio nel territorio dei Lo Russo. I due imputati hanno anticipato con la propria confessione le discussioni degli avvocati difensori.
Nella scorsa udienza Ciro Perfetto, altro imputato, aveva inviato una lettera alla famiglia di Genny chiedendo perdono. L’ultimo imputato che non ha ancora confessato è Antonio Buono. Il pm ha chiesto l’ergastolo per tutti eccetto che per Carlo Lo Russo (per lui la richiesta è 16 anni).
“Volevamo la verità. – ha commentato Antonio Cesarano, padre di Genny – Ora attendiamo con fiducia la sentenza del 6 dicembre”. Una brutta vicenda che ha scandito con macabra precisione i ritmi di un sistema di vita balordo, basato sulla violenza e sulla cinica prevaricazione.
Costumi mafiosi che non conoscono alcuna pietà agendo in nome dell’unico grande dio che venerano, il denaro. Finti boss e gentaglia senza onore pronta a fare poi marcia indietro , non tutti i pentimenti dei ras sono genuini, quando le cose si mettono male, quando al lusso sfrenato subentra il freddo di una cella dove passare magari il resto dei giorni.
Intanto giovanissimi senza colpa, figli ancora in seno alle famiglie, vengono falciati perché Tizio non ha tollerato l’affronto di Caio, colpiti per sbaglio da improvvisati sicari che come macchine impazzite premono il grilletto senza badare minimamente a chi si trovano nella traiettoria di tiro.
In questo miserabile scenario le istituzioni per decenni hanno vegetato: non ammetterlo significherebbe alterare malignamente la realtà dei fatti. Perché sia chiaro che ancora oggi chi nasce e vive in certi contesti, in quartieri ghetto ha ben poche prospettive davanti a se: senza lavoro, adeguata scolarizzazione e sana aggregazione ci troveremo sempre a commentare tragedie annunciate. Della serie: la tanto sofferta “nottata” celebrata da Eduardo De Filippo a Napoli sembra non passare mai.
Alfonso Maria Liguori