Il Gazzettino vesuviano | IGV

Totò Riina è morto: il potere, la politica, il rapporti con la camorra

Totò Riina è morto. Il capo dei capi, che da giorni era in coma dopo due interventi, ha lasciato questa Terra intorno alle 4 nel reparto detenuti dell’ospedale di Parma. Ieri Riina aveva compiuto 87 anni. Operato due volte nelle scorse settimane, dopo l’ultimo intervento era entrato in coma. Riina, secondo alcune indiscrezioni trapelate da ambienti investigativi , nonostante la detenzione al 41 bis da 24 anni era ancora il capo di Cosa Nostra.




Le condizioni del padrino della mafia erano precipitate negli ultimi tempi : un aggravamento dello stato di salute fisica che aveva indotto i legali a chiedere un differimento di pena per motivi di salute. Istanza che il Tribunale di Sorveglianza di Bologna ha respinto a luglio. Ieri, quando ormai era chiaro che le sue condizioni erano disperate, il ministro della Giustizia ha concesso ai familiari di far visita a Riina.

La sua dipartita delicatissime questioni irrisolte : rapporti tra mafia e politica, stagione delle stragi, diabolici piani di Cosa Nostra secondo molti pentiti da sempre in combutta con poteri occulti . Quello che sconcerta di più è il mai sopraggiunto pentimento di Riina . In omertoso silenzio è morto come ha vissuto : da mafioso. Toto’ Riina, alias “o ‘Curtu”, conobbe il carcere a 18 anni per l’omicidio di un coetaneo durante una rissa. Reato che gli costò una condanna a 12 anni di reclusione. A segnare profondamente Totò Riina la morte del padre e del fratello più piccolo mentre cercavano di estrarre polvere da sparo da una bomba inesplosa per comprare del pane .




Il salto di qualità avviene dopo l’incontro con Luciano Liggio, alias “Lucianeddu” ( il cui vero cognome è Leggio). La scalata al potere mafioso di “Lucianeddu” e dei suoi inizia nel 1958 con l’uccisione di Michele Navarra, medico e boss di Corleone. Leggio ne azzera il clan e ne prende il posto. Totò diventa il suo vice. Nella banda c’è anche un altro compaesano, Bernardo Provenzano. Nel dicembre del 1963 Riina viene fermato da una pattuglia di carabinieri in provincia di Agrigento: ha una carta di identità rubata e una pistola. Torna all’Ucciardone per uscirne, dopo un’assoluzione per insufficienza di prove, nel 1969. Mandato fuori dalla Sicilia al soggiorno obbligato, non lascerà mai l’Isola scegliendo una latitanza durata oltre 20 anni.

Da ricercato inizia la sistematica eliminazione dei nemici: nel 1969, con Provenzano e altri uomini d’onore, uccide il boss Michele Cavataio e altri quattro picciotti in quella che per le cronache sarà la strage di viale Lazio. Due anni dopo è lui a sparare contro il procuratore di Palermo Pietro Scaglione. L’ascesa in Cosa nostra, ottenuta col sangue e la violenza , si parla di oltre 100 omicidi in cui è coinvolto e 26 ergastoli a cui è stato condannato , è inarrestabile. Riina non fa sconti agli avversari politici della mafia ordinando l’uccisione dell’ex segretario provinciale della DC Michele Reina e del Presidente della Regione Piersanti Mattarella.




Dopo la cattura di Leggio, Riina entra a far parte della Cupola di Cosa Nostra insieme a Stefano Bontate e Tano Badalamenti. Ma è negli anni 80 che il ruolo suo e dei suoi, i contadini di Corleone che hanno sfidato la mafia della città, diventa indiscusso. Soldi a fiumi con la droga, gli appalti e la speculazione edilizia. E una conquista del potere a colpi di omicidi eclatanti e lupare bianche. E’ la seconda guerra di mafia. Il 23 aprile 1981 cade Stefano Bontande, “il principe di Villagrazia”, il boss che vestiva in doppiopetto, frequentava i salotti buoni della città e controllava i traffici della Cosa nostra palermitana. Massacrato nel suo regno e nel giorno del suo compleanno.

Diciotto giorni dopo, tocca al suo alleato, Totuccio Inzerillo, poi al figlio e al fratello: i parenti superstiti fuggono negli Stati Uniti e hanno salva la vita a patto di non tornare più in Sicilia. Riina la belva , come lo chiama il suo referente politico Vito Ciancimino, ex sindaco mafioso di Palermo, è spietato. Condannato in contumacia all’ergastolo durante il “maxiprocesso”, viene inchiodato dalle rivelazioni del super pentito Tommaso Buscetta. Totò “u curtu” reagisce facendogli uccidere undici parenti. Quando il maxi diventa definitivo e cominciano a fioccare gli ergastoli per gli uomini d’onore, il padrino dichiara guerra allo Stato. La lista di chi andava eliminato era lunga e contava anche i politici che, secondo il boss, non avevano rispettato i patti

E’ la stagione delle stragi che il capo dei capi vuole nonostante non tutti in Cosa nostra siano d’accordo. Il 12 marzo muore Salvo Lima, proconsole andreottiano in Sicilia. Il 23 maggio e il 19 luglio del 1992 i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Al boss restano però pochi mesi di libertà: il 15 gennaio del 1993 i carabinieri del ROS lo arrestano dopo 24 anni di latitanza. La moglie, Ninetta Bagarella che ha trascorso con lui tutta la vita, torna a Corleone con i quattro figli, Lucia, Concetta, Giovanni e Giuseppe Salvatore, tutti nati in una delle migliori cliniche private di Palermo.




Gli ultimi periodi della latitanza la famiglia li trascorre in una villa degli imprenditori mafiosi Sansone, a due passi dalla circonvallazione. I carabinieri lo ammanettano poco lontano da casa: un arresto il suo su cui restano molti punti oscuri. La versione ufficiale lo vuole “consegnato” da un suo ex fedelissimo, Baldassare Di Maggio, il pentito che poi avrebbe raccontato del bacio tra Riina e Andreotti. Non sono mancati rapporti stretti con la Nuova Famiglia, la grande organizzazione criminale contrapposta alla NCO di Raffaele Cutolo : nello specifico parliamo del boss di Torre Annunziata Valentino Gionta, affiliato a Cosa Nostra e referente in Campania della mafia siciliana, degli ex ras Pasquale Galasso, Carmine Alfieri ( attuali collaboratori di giustizia) e del boss tutt’ora detenuto Ferdinando Cesarano.

Riina ha fatto spesso da paciere nei contrasti interni al sistema partenopeo forte di una leadership criminale indiscussa. Un patto di sangue legava Cosa Nostra alla camorra partenopea, alimentato da un fiume di denaro provento delle più disparate attività illecite ( traffico di stupefacenti, contrabbando, usura, racket, sfruttamento della prostituzione, etc…). Oggi il capo dei capi della mafia ha smesso di esistere : oggi , per chi è credente, si è presentato dinanzi ad un’Entità Superiore ( ognuno chiami Dio come vuole) a cui ci sarà veramente tanto da rendere conto.

Alfonso Maria Liguori



Exit mobile version