Nuove leve e tensioni criminali: cosa succede al clan Lo Russo, i Capitoni di Miano

L’azzeramento dei quadri di comando di quest’ultima organizzazione ha finito per alimentare le ambizioni del clan Licciardi della Masseria Cardone

Nell’area nord di Napoli sono insediati alcuni tra i più strutturati gruppi criminali cittadini. Uno di questi è il clan Lo Russo , i cosiddetti “Capitoni” di Miano, che negli anni si è reso protagonista, pur senza parteciparvi attivamente (ad esempio mettendo a disposizione le armi), di faide che hanno insanguinato varie zone del capoluogo, come accaduto, più di recente, per la Sanità. Le numerose inchieste e la scelta collaborativa di elementi di vertice hanno finito per indebolirne la legittimazione sul territorio.




In tale contesto si sono affacciate nuove leve già gravitanti nell’orbita dei Capitoni: l’azzeramento dei quadri di comando di quest’ultima organizzazione ha finito per alimentare le ambizioni del clan Licciardi della Masseria Cardone di gestione delle piazze di spaccio sui territori controllati dai mianesi. Se, infatti, la collaborazione dei fratelli Lo Russo sembrerebbe aver determinato una situazione di precarietà interna all’organizzazione , sia per la mancanza di saldi riferimenti sia per il tentativo di gruppi antagonisti di scalzarli dal territorio recenti acquisizioni investigative ne confermerebbero ancora l’influenza su alcune zone esercitata anche attraverso le estorsioni.

Una tesi che comproverebbe come i “Capitoni” di Miano sarebbero tutt’altro che finiti giustificando nel contempo l’accanimento del sistema nei confronti di quelli che solo sulla carta dovrebbero orami essere fuori gioco. “Temo rappresaglie nei confronti della mia famiglia: nel clan ero uno dei capi, uno dei principali killer”. Queste le dichiarazioni rilasciate tempo addietro dal pentito Mario Lo Russo ai giudici poco tempo prima dell’attentato incendiario che distrusse le autovetture della moglie e della figlia parcheggiate in via Janfolla a Miano.




“Nella mia famiglia – aveva precisato l’ex boss – esisteva una vera e propria scala gerarchica. Io, pur venendo dopo i miei fratelli, ero considerato uno dei capi del clan per carisma e perché facente parte del gruppo di fuoco. Da killer ho commesso diversi omicidi di camorra: ero temuto e rispettato dagli affiliati che rigavano dritto con la mia famiglia. Con noi chi sbagliava pagava caro”.

Parole che pesano come macigni nel definire l’identikit di un criminale senza scrupoli appartenente ad una delle cosche più in vista nell’universo camorristico partenopeo (e non solo), talmente potente da sfidare in più occasioni apertamente la cupola di Secondigliano (gli scissionisti Amato-Pagano sono stati a lungo in affari con i Lo Russo). Della serie : clan dei “Capitoni” annientato o attivo sotto la cenere? Un dilemma che ad oggi impegna gli inquirenti preoccupati per la possibile ripresa delle ostilità negli ambienti malavitosi a nord di Napoli.

Alfonso Maria Liguori



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Pubblicista, con formazione scolastica classica e frequenza universitaria presso l'Ateneo Federico II di Napoli (corso di Laurea in Filosofia). Dal 2003 "Aml" è nato, giornalisticamente parlando, con il settimanale diocesano della Curia di Napoli "Nuova Stagione". Successivamente collabora con Cronache di Napoli, con Metropolis, con Napoli Più, svolgendo nel contempo attività di pubbliche relazioni e portavoce di politici. Impegnato nel sociale nel 2003 ha preso parte ad un progetto sociale per il recupero di minori a rischio promosso dall'associazione onlus "Figli in Famiglia" in collaborazione con il Tribunale per i Minori di Napoli. Ha curato eventi di solidarietà per associazioni onlus in favore di noti ospedali partenopei in collaborazione con l'Ubi Banca Popolare di Ancora. Ha diretto la trasmissione televisiva "Riflettori su Ercolano" (a sfondo sociale) per Tele Torre. Profondo conoscitore della strada e dei complessi meccanismi sociali che caratterizzano le problematiche di Napoli e della sua provincia, da anni collabora attivamente con il Gazzettino vesuviano.