La casa chiusa restringe le competenze. I fidati saranno pure tali ma in fatto di conoscenze potranno averle in materie determinate. Chi invece punta sulla lealtà dei propri collaboratori può avere una prateria sterminata di persone su cui contare. Tra i due comportamenti gestionali c’è spesso una differenza di base, ovvero quale obiettivo si vuole raggiungere.
Nel primo caso il potere e basta. Tutto è finalizzato ad occupare “posti al sole” in un crescendo ossessivo. Non contano i programmi, gli obiettivi che dovrebbero essere alla base di tutto. Certo, sono importanti per “la carriera” ma vengono dopo i compromessi, gli accordi sottobanco con i capi bastone del momento, che non hanno niente a che vedere con il ruolo pubblico o privato che si andrà a ricoprire. Parliamo d’interessi di parte dove il cosiddetto “bene comune” non è altro che un’utopia dei soliti creduloni. Comunque, ci sarà sempre tempo per presentare percorsi operativi attesi da anni. E la “catena di Sant’Antonio” continuerà senza fine nell’attesa, appunto, di un miracolo.
I virtuosi – pochi in verità quelli che riescono a raggiungere significativi livelli di “potere” – ci sono e fanno una fatica inaudita per portare avanti le loro idee, senza accettare compromessi o cose simili. L’età non c’entra. Puoi essere un giovane pimpante o un vecchio matusalemme per stare sullo stesso piano o delle idealità, o dello sfrenato arrivismo.
Certi fenomeni sono ben presenti e visibili in politica. Non è un caso se circa il quaranta per cento degli elettori non va a votare. O se il trenta per cento dei votanti sceglie per protesta un partito definito impropriamente “anti sistema”. Il problema è come cambiare registro, come premiare le idealità contro gli interessi esasperati di bottega.
Le responsabilità dell’attuale stato di cose vanno cercate a trecentosessanta gradi. Più colpevoli di altri sono quei “benpensanti”, anche dal medio-alto profilo culturale, che non si abbassano a combattere battaglie contro la politica politicante.
Perché dovrebbero sporcarsi le mani – e l’immagine – confrontandosi con “certi loschi figuri”, a loro avviso, dei partiti? Insomma, uno scaricabarile senza fine che premia i soliti noti.
C’è da riflettere su come vengono visti nel nostro Paese i politici e la politica.
L’opinione pubblica, nella stragrande maggioranza, vede la classe politica con livore e conseguentemente la politica in modo negativo. Non come la necessaria ed insopprimibile “gestione della polis”, ma come un mezzo d’arrichimento improprio.
Uno strumento per compiere il “grande salto di qualità” di ruolo nella vita. Non è sempre così. Tante le donne e gli uomini di buona volontà che s’impegnano nel sociale per spirito di servizio, per passione, per dare un senso alla propria esistenza. Sono questi i soggetti che possono ridare ai cittadini fiducia nella politica.
Persone scomode per i profondi convincimenti che si portano dietro e che non sono disposti a barattare.
In periodo di campagna elettorale la parola d’ordine per i partiti è vincere. Ed è una cosa comprensibile. Le trovate pirotecniche sono all’ordine del giorno. Non si porta agli elettori, nella maggior parte dei casi, il conto di quello che si è fatto, sia stando all’opposizione che al governo. Si parla di “futuro”, come se il “passato” non fosse determinante.
Tante nei territori le donne e gli uomini di buona volontà che credono e s’impegnano per il “bene comune”. Ci sono tra loro giovani e meno giovani, professionisti, imprenditori, artigiani, docenti universitari, gente comune. È su questi soggetti che bisogna puntare per far fare alla politica un cambio di passo che la società civile invoca da tempo.
No, non basta essere un ottimo imprenditore, o industriale, o insegnante, o altro per essere un buon politico. Se non hai alle spalle un’esperienza consolidata anche nel “sociale”, se non ti sei mai confrontato con gli altri per il raggiungimento di un obiettivo non personale, è difficile che saprai gestire la cosa pubblica. Difficile, non impossibile. Ogni regola ha le sue eccezioni.
Elia Fiorillo