Quattro condanne all’ergastolo per l’omicidio del 17enne Genny Cesarano, vittima innocente nel Rione Sanità a Napoli il 6 settembre 2015 di una ‘stesa’ (i raid a colpi di pistola della camorra per seminare terrore tra gli avversari). La sentenza è stata emessa dal Gup Alberto Vecchione al termine del processo con rito abbreviato. Il massimo della pena è stato inflitto a Luigi Curatelli, Antonio Buono, Ciro Perfetto e Mariano Torre mentre 16 anni è la condanna per Carlo Lorusso che ha collaborato con gli inquirenti.
“So bene che il mio dispiacere non rimetterà Genny in vita, ma spero con tutto il cuore che voi accettiate le mie scuse e perdono. Dalla mia giovane età mi porterò un enorme peso per tutta la vita”. Queste le parole pronunciate in aula tempo da Ciro Perfetto, uno dei responsabili dell’omicidio di Gennaro Cesarano. “È un segnale importante —aveva spiegato Marco Campora, legale della famiglia Cesarano — che può influenzare altri giovani camorristi. Un segnale che aiuta gli enormi sforzi che si stanno facendo per il quartiere”. “Non gioisco, non c’è spazio per la gioia. Tutti i miei pensieri vanno a mio figlio” : questo la dichiarazione subito dopo la sentenza del padre di Genny, Antonio Cesarano che ha atteso fuori dall’aula la notizia del verdetto.
Il genitore non si è risparmiato anche in merito all’omertà che ha fortemente complicato le indagini sull’omicidio del figlio : “Questi ragazzi – ha precisato Antonio Cesarano – potevano dire qualcosa in più. Ma forse è venuta meno la fiducia nello Stato. Ora hanno ricominciato a sparare. Ma non è il caso di fare un processo al quartiere. Se succede al nord è paura, se succede a Napoli è omertà…”.
Francamente riteniamo superflua qualsiasi altra considerazione su una vicenda che in una società civile non sarebbe mai dovuta accadere. Non ci sono attenuanti e alibi che tengano : le responsabilità della politica ci sono tutte , di chi per decenni ha di fatto lasciato intere aree di Napoli e dell’hinterland in balia del crimine organizzato, creando in alcuni casi ghetti di cemento “monocolore”, dove persino la luce del sole fatica a penetrare.
Alfonso Maria Liguori