Si chiamano «Io non ti conosco» e formano un’associazione teatrale e culturale nata dal ventre della periferia tra Castellammare di Stabia e Sant’Antonio Abate. Sono ragazzi, giovani, che coltivano il sogno del teatro, in mezzo a un mare di macerie.
Un sogno, quello del palcoscenico, diventato realtà con lo spettacolo «Lontano da qui», rappresentato ieri sera al Teatro Supercinema di Castellammare, con la regia di Gaetano Capuano.
Una storia di camorra, evasione, libertà. Ma soprattutto un racconto sul peso opprimente della speranza e degli enormi costi che essa comporta. La storia di Giuseppe (interpretato dall’attore Giuseppe Ruotolo), un quarantenne napoletano che vive nella tranquilla Trento da quindici anni, gestendo un hotel ristorante con la sua famiglia, composta dalla moglie Grazia e dal figlio Marco. Un giorno, però, al ristorante di Giuseppe si presentano due giovani, Manuel e Gianluca (portati in scena dagli attori Manuel Veltro e Gianluca D’Aniello).
Un incontro che susciterà uno scatenarsi di eventi legato al passato di Giuseppe. Un passato complesso che ritornerà a galla e che cambierà radicalmente la vita del protagonista, in un flash back di rancori e rimorsi. A dominare, su tutto, l’ombra inquietante della camorra, della criminalità asfissiante che non concede via d’uscita.
«Lontano da qui» porta sulle tavole del palcoscenico una sequenza di piccoli, grandi eroi quotidiani, di persone che attraverso il lavoro tentano di mettere insieme i pezzi di una vita normale.
Imprenditori, ristoratori, camerieri o semplicemente lavoratori che provano ogni giorno a costruire un’alternativa sociale e personale alla criminalità organizzata.
In «Lontano da qui» i personaggi sono facilmente riconoscibili, in quanto tutti parte di un contesto socio-culturale che appartiene a ognuno di noi. Quello rappresentato dalla longa manus della criminalità organizzata, delle criticità, delle inefficienze.
E soprattutto da quell’anelito di evasione, di riscatto e libertà che spinge, e ci spinge, lontano da qui, dalla nostra terra amata e maledetta, da questo punto geografico ridotto da politici e criminalità a un ventre molle e piatto.
Così «Io non ti conosco», oltre che ad essere un nome o una sigla associativa, diventa quasi un messaggio, straniante, rivolto alla realtà in cui ci muoviamo.
Una realtà che facciamo fatica ad accettare, a vivere e a conoscere.
«Io non ti conosco», in conclusione, è l’ulteriore conferma del buono stato di salute del teatro indipendente, a suo volta da inquadrare nel fertile humus della tradizione teatrale di Castellammare di Stabia che continua a raccontare, allora come oggi, il territorio e la sua utopia di riscatto.
Angelo Mascolo