Partendo dalla leggenda legata alla nascita della costellazione denominata “Chioma di Berenice” che narra dell’offerta fatta dalla Regina Berenice a Iside e consisteva nel sacrificare la sua fluente chioma e offrirla come pegno per ottenere in cambio il ritorno in vita del marito il Re Evergete, recatosi in guerra.
Il giorno seguente a quello in cui la Regina recise i suoi capelli, la chioma scomparve dal Tempio e nel firmamento apparve una nuova costellazione che prende il nome appunto dall’offerta della Regina.
L’installazione che Sara di Costanzo, artista poliedrica e mamma di tre figli che vive a Cava dè Tirreni che ha voluto rappresentare stamane nella pineta annerita dal fuoco del Parco del Vesuvio è, nelle intenzioni della performer, l’azione del recupero di questo voto, un’operazione opposta a quella di Berenice che avviene con il recupero della sua chioma, che intanto, ha subito una metamorfosi essendosi trasformata in stelle.
Le stelle, sono cuscini, mille per l’esattezza, realizzati in cotone grezzo e dipinte a mano. Il numero, simbolico vorrebbe restituire la maestosità di questa costellazione. La forma conferita ai cuscini è quella della stella a cinque punte che rappresentano i 5 elementi che compongono il cosmo: aria, acqua, fuoco, terra e spirito.
Elementi riappropriati alla volontà di restituire un corpo al voto di Berenice e di riprenderselo.
Un corpo smaterializzato, quello della sua meravigliosa chioma e accolto in cielo come un pegno.
Dalla terra al cielo come una preghiera, come una supplica che teme di rimanere inascoltata. Una preghiera che come un canto parte da una terra mortificata, intristita e annerita dall’uomo ma che dall’uomo riparte per rinascere mutando e accogliendo il cambiamento come un’opportunità. Una preghiera che vuole essere un unguento guaritore di ferite profonde, di visioni sfigurate. Il colore, tanto, sullo fondo monocromo che vede il trionfo dei bruni , a richiamare il triste colore del grigio cenere con cui oggi il Vesuvio si mostra.
Quello di Berenice è un dono, un’offerta certa per Iside, un’opportunità per la regina. Berenice rinuncia, cede, sacrifica, Iside sceglie. Berenice spera.
Ogni stella blocca, fissa un momento di vita vissuta o immaginata che resta lì a testimonianza del tempo. Del tempo si, del luogo no, perché la chioma di Berenice è un’opera nomade che vive di spazi diversi. E’ un’opera mutevole, asseconda i luoghi, inverte le parti. Modifica continuamente i suoi confini sconfinando.
E’ l’azione opposta a quella di Berenice. E’ la sua preghiera rubata al cielo e restituita alla terra, alla vita.
E accompagnata dalle sue fedeli amiche, Sara di Costanzio è salita sul vulcano con tutto quello che incarna nella metamorfosi continua di cui la Pangea ne trasforma la funzione catartica di fonte vitale per il suo rinnovamento.
E la forza vitale della natura, bellezza. Che non si arrende dinanzi a nulla. Nemmeno alla vergognosa ferita inferta dalla insensatezza dei suoi abitanti.
A futura memoria per chiunque ami il Vesuvio.