Camorra, Umberto Mario Imparato: il boss che tenne testa a Michele D’Alessandro

Dopo essersi congiunto in matrimonio con una ragazza di Piacenza (poi insegnante liceale) Umberto Mario Imparato ritornò a Castellammare

Umberto Mario Imparato : il boss che sfidò il ras Michele D’Alessandro tenendo testa per anni ad uno dei clan più feroci della Nova Famiglia. Da studente lavoratore, attivista di Autonomia Operaia, a primula rossa della camorra. Negli anni ’60 Imparato lasciò la sua Castellammare di Stabia per trasferirsi a Milano dove si mantenne agli studi lavorando. In piena contestazione studentesca Imparato frequentò assiduamente Autonomia Operaia condividendone le finalità sociali. Dopo essersi congiunto in matrimonio con una ragazza di Piacenza (poi insegnante liceale) Umberto Mario Imparato ritornò a Castellammare occupandosi sempre di politica e lavorando come operaio.




Successivamente decise di aprire un ristorante nella penisola sorrentina e il locale sembrava rispondere alla grande commercialmente. Una sera però gli fecero visita sei affiliati del clan D’Alessandro (egemone sul territorio) che dopo aver cenato non solo si rifiutarono di pagare il conto ma intimarono a Imparato di pagare una tassa per la protezione. Pessima idea: l’uomo reagì in modo feroce mettendo in fuga i responsabili della tentata estorsione. Un episodio epico che sancì l’inizio della carriera criminale di Imparato. Dopo poco tempo Michele D’Alessandro convocò Imparato proponendogli di affiliarsi al suo clan con ruolo apicale. Umberto Mario Imparato divenne rapidamente lo stratega e il cassiere dei D’Alessandro sostituendosi persino al ras Michele finito nel frattempo in carcere. Una volta lasciate le patrie galere D’Alessandro accusò Imparato di aver sottratto ingenti somme alle casse del clan costringendo l’ex fedelissimo a nascondersi sui monti Lattari per sfuggire alla sentenza di morte emessa nei suoi confronti.

Dalle montagne Imparato, grazie ad alleanze con le famiglie malavitose del posto (dal modus operandi oltremodo violento), creò un gruppo criminale autonomo forte del carisma da sempre esercitato sui giovani che vedevano nel ras Michele D’Alessandro un personaggio estremamente rozzo e violento. Iniziò così una guerra tra i due capi camorra che contò oltre settanta morti tra i rispettivi schieramenti. Particolare il modus operante dei gruppi di fuoco di Imparato che lasciavano le montagne solo per uccidere per poi sparire rapidamente nel nulla. Era il 21 aprile del 1998 quando nei pressi dell’Hotel dei Congressi un commando, inviato da Imparato, il boss “della montagna” , aprì il fuoco contro D’Alessandro e la sua scorta. Restarono sull’asfalto in un mare di sangue quattro affiliati e il fratello di Michele D’Alessandro, Domenico.




Il vero obiettivo del raid riportò solo alcune ferite (uno strano particolare che portò poi gli inquirenti a ritenere che D’Alessandro fosse stato volutamente risparmiato dai killer). L’ira incontenibile di D’Alessandro, scampato miracolosamente all’agguato, per la perdita del fratello e dei fedelissimi non tardò ad arrivare: morti ammazzati ovunque a Castellammare e sui Lattari in una faida senza esclusione di colpi. Una guerra che durò fino alla primavera del 1993: in quel periodo le forze dell’ordine riuscirono a stanare sui Lattari Umberto Mario Imparato (si parlò di tradimenti all’interno dello stesso clan e da parte dei gruppi malavitosi dei Lattari alleati) e il boss restò ucciso in seguito al conflitto a fuoco ingaggiato con gli agenti insieme ad un suo guardaspalle. Un leader carismatico, ben agganciato con politici, amministratori e insospettabili professionisti campani, che da semplice imprenditore nel settore ristorativo osò ribellarsi (inizialmente con successo) allo strapotere dei D’Alessandro che, profondamente colpiti dalla decisione e dalle capacità di Imparato, ne fecero poi un pezzo da ’90 dello stesso clan.

Alfonso Maria Liguori



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