Vox populi, la voce del popolo si muove, si sente, gira nelle stradine di Ottaviano antica e racconta.
Narra, con insistenza, a chi ha orecchie per sentire. E dice di una statua di senatore romano in marmo bianco, sparita dal piedistallo sul quale si trovava, nel Castello de’ Medici, che sarebbe ancora in zona.
Ben nascosta. Ma ancora a Ottaviano. Voci, che non trovano conferme concrete. Ma comunque sono insistenti e per dovere di cronaca devono essere riportate. Il marmo, che secondo gli archeologi sarebbe databile al I secolo avanti Cristo, raffigurava un senatore romano, in toga, finemente drappeggiata, e venne trafugata nel 1982.
Chi ne ricorda la collocazione: nell’angolo del cortile superiore del Castello Mediceo, ricorda anche che la sua maestosità e la sua eleganza era oggetto di ammirazione per chiunque si trovasse a transitare per la strada.
La statua faceva parte del corredo funerario attualmente visibile all’interno del castello e che rappresenta la famiglia Fismio, come si legge sulla lapide; famiglia di Liberti, i Fismio appartenevano alla Gens Ottavia e accudivano alle proprietà dell’imperatore.
Nessuno lo può dire con certezza. Si sa solamente che il reperto, di notte, venne spinto da una mano ignota verso la strada, cadendo nel vuoto; la mattina successiva, frantumata in più parti, venne prelevata e portata via. Da allora, più niente di ufficiale si è saputo.
Voci, solo voci. Nient’altro. Ma le stesse voci, dicono anche che forse, quel simbolo di Ottaviano, potrebbe “ritornare”.
Essere ritrovato, insomma. In questo modo La cittadina vesuviana vedrebbe un altro importante tassello della sua storia tornare al suo posto nel mosaico dei beni culturali di sua pertinenza.
Assieme alla cosiddetta Villa del Console, del I secolo dopo Cristo, situata in località Seggiari, e alla villa del Boscariello (conservava affreschi in II stile) e alla villa del Pensatore, salvata per un pelo dai tombaroli che vennero bloccati dalle forze dell’orine durante la costruzione di un tunne attraverso il quale saccheggiarla.
Romilda Barbato