I giudici della II Sezione della Corte d’Assise d’Appello hanno confermato l’ergastolo per i boss Massimo Scarpa e Michele Omobono, accusati di essere i mandanti degli omicidi di Giuseppe Verdoliva e Antonio Martone tra giugno e settembre del 2004. Esecuzioni inquadrate all’interno dello scontro tra i clan D’Alessandro e gli Omobono-Scarpa per il controllo degli affari illeciti a Castellammare. Giuseppe Verdoliva era infatti considerato il braccio destro del ras Michele D’Alessandro, Antonio Martone cognato sempre dal ras di Scanzano. Una trafila giudiziaria che tar colpi di scena e vizi di forma andava avanti da un decennio.
Ad inchiodare i capi camorra stabiesi le dichiarazioni di alcuni pentiti ritenuti attendibili dai magistrati: tra questi in particolare hanno pesato enormemente sulle sentenze ( oltre ai 2 ergastoli inflitti a Massimo Scarpa e Michele Omobono sono stati condannati a 16anni e 6 mesi Giovanni Savarese e Raffaele Martinelli mentre a 17 anni e 6 mesi Raffaele Carolei) le parole dell’ex camorrista Luciano Fontana che aveva dichiarato di essere l’esecutore materiale dell’omicidio di Antonio Martone. Quando parliamo dei D’Alessandro in particolare tocchiamo il gotha del sistema vesuviano. Capo e fondatore del noto sodalizio criminale Michele D’Alessandro, il padrino che faceva cosi parlare la sua gente: “A Castellammare non si muove foglia che zi’ Michele non voglia”.
Carismatico e deciso Michele D’Alessandro sarebbe indicato da numerosi pentiti come il mandante di decine di omicidi commissionati durante la faida contro il clan capeggiato da Umberto Mario Imparato. Mai pentito il ras di Scanzano, in merito alla scelta di collaborare con lo Stato effettuata dal numero uno della Nuova Famiglia Carmine Alfieri e dal suo delfino Pasquale Galasso, con ironia dichiarò ai giudici: “Quelli sono veri boss, si possono pentire, io avrei poco da dire” .Parole in codice pronunciate quale testimonianza di una scelta di vita mai rinnegata dal boss a differenza di altri esponenti di spicco della camorra pentitisi all’“occorrenza” e forse “per convenienza”.
La morte di Michele D’Alessandro avvenuta in carcere in seguito ad un attacco cardiaco non determinò la fine dello spessore mafioso della famiglia per il passaggio di consegne alla moglie Teresa Martone. Donna forte, reggente del clan e ideatrice delle strategie operative da adottare per mantenere la leadership criminale sul territorio, Teresa Martone gestisce ad oggi il potere mafioso raggiunto dal marito dalla roccaforte di Scanzano. Tanti i business controllati dai D’Alessandro, una volta incentrati sullo spaccio di stupefacenti e poi allargati ai centri scommesse e ai videopoker.
Alfonso Maria Liguori