Ad uccidere Giuseppe Veropalumbo la notte di capodanno fu un boss del clan Gionta di Torre Annunziata. Tre gli indizi che non lasciano spazio ad altre ipotesi, come spiega Dario Sautto dalle pagine de Il Mattino. Il colpo, fatale per il carrozziere, partì da palazzo Fienga, la roccaforte dei Valentini, o da una zona limitrofa. Utilizzata una semiautomatica Tanfoglio calibro 9×21 modello Limited 921, un’arma potente, di precisione, una pistola ricercata, sicuramente non comune. I festeggiamenti alla maniera camorristica, con l’esplosione di proiettili per dimostrare il proprio potere criminale.
Gli ultimi rilievi con laser e droni hanno calcolato la traiettoria dei colpi conficcatisi nel grattacielo di corso Vittorio Emanuele III. Qualche giorno dopo la morte del 30enne, la pistola venne lanciata nel porto oplontino e recuperata dalla polizia. Solo oggi è stata collegata all’omicidio del carrozziere.
Ha espresso rammarico Diego Marmo, procuratore di Torre Annunziata all’epoca dei fatti e oggi magistrato in quiescenza, per il mancato riconoscimento a vittime della camorra di Carmela Sermino, vedova Veropalumbo, e della figlia. «Lo stato ha perso dieci anni senza fare nulla. Già all’epoca c’erano tutti i presupposti perché il contesto era chiaramente camorristico. Dalle indagini emerse subito che la vittima non aveva alcun legame con gli ambienti criminali. Ma quella notte a Torre Annunziata e soprattutto in quei quartieri, andò in scena il barbaro festeggiamento di capodanno. Durante le primissime indagini, in quei vicoletti furono trovate decine di bossoli, anche di anni di guerra, classici strumenti di lavoro della criminalità organizzata. – ha concluso – Dieci anni sprecati».