Torre Annunziata, così “pescavano” droga dai tetti dei palazzi: 5 arresti

La droga a Torre Annunziata veniva custodita sul tetto di un palazzo pericolante e veniva "pescata" con una canna da pesca dallo spacciatore di turno. Da lì il nome dell'operazione della polizia di stato

torre annunziata processo palazzo fiengaLa droga a Torre Annunziata veniva custodita sul tetto di un palazzo pericolante e veniva “pescata” con una canna da pesca dallo spacciatore di turno. Da lì il nome dell’operazione della polizia di stato, “Pesca velenosa”, che sin dalle prime ore dell’alba ha sgominato una holding criminale dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti. In carcere sono finite 5 persone: Antonio Bruno di 27 anni; Aniello Ino di 22 anni; Angelo Nasto di 26 anni; Carlo Antile di 20 anni; Raffaele Cirillo di 21 anni; tutti pregiudicati di Torre Annunziata. Nell’inchiesta altri 2 indagati nei cui confronti gli agenti hanno eseguito la misura dell’obbligo di firma: Giuseppe Gessosi, 23enne di Napoli pregiudicato; M. V. di 21 anni di Torre Annunziata, incensurato.




La base operativa del gruppo si trovava al civico 117 di corso Vittorio Emanuele III, nel quadrilatero delle carceri, ricadente sotto il controllo dei clan di camorra di Torre Annunziata la cui roccaforte un tempo era Palazzo Fienga, oggi sgomberato e reso inaccessibile. Pesca velenosa è stata effettuata con circa 70 agenti, unità cinofile antidroga ed antiesplosivo, e l’utilizzo di un elicottero.

Il sistema di spaccio ideato era particolarmente ingegnoso. Da una parte l’attività veniva svolta in maniera capillare quasi a domicilio. Dall’altra è stato accertato che la droga veniva custodita sul tetto di un inaccessibile palazzo pericolante e veniva prelevata con una canna da pesca modificata, alla cui estremità veniva posto un pendente ricoperto di nastro adesivo. In questo modo lo stupefacente era recuperabile esclusivamente dagli spacciatori che conoscevano l’esatta posizione della droga e che quindi potevano pescarla.




Dopo la pesca, gli arrestati utilizzavano un linguaggio criptato solo solo a coloro che effettuavano l’intermediazione della vendita. La droga veniva definita “maglioni” via sms. Le richieste dei clienti erano veramente tante, si parla di centinaia di dosi di cocaina, eroina e marijuana, tanto che gli indagati erano stati costretti a rinunciare temporaneamente all’approvvigionamento per poi riprenderlo in un secondo momento.



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