La settima arte e il concetto di non violenza

Cina e Giappone non si fronteggiano solo per il possesso delle isole Senkaku (che Pechino chiama Diaoyu), ma anche sul piano della settima arte. Basti pensare all’alternanza di grandi film sulle arti marziali, che anche in Occidente riscuotono un buon successo

Una contrapposizione in sala

Cina e Giappone non si fronteggiano solo per il possesso delle isole Senkaku (che Pechino chiama Diaoyu), ma anche sul piano della settima arte. Basti pensare all’alternanza di grandi film sulle arti marziali, che anche in Occidente riscuotono un buon successo.

Per limitarci solo ad un paio degli eventi degli ultimi anni: Wong Kar-wai realizza un capolavoro come The Grandmaster (2013), dove Tony Leung interpreta Yip Man, il maestro che ha divulgato lo stile Wing Chun e noto per essere stato il mentore di Bruce Lee; il Giappone risponde con un maestro del cinema come Tsukamoto, che ha portato all’ultimo Festival del cinema di Venezia, una grandissima opera (anche se non premiata dalla Giuria della Laguna): Zan (Killing è il titolo europeo).

Ma a ben guardare, esiste forse un fil rouge che attraversa il mar del Giappone e il mar Cinese Orientale e che sottende le opere di Pechino e di Tokyo.

I samurai di Tsukamoto

Restiamo, ad esempio, sulla recentissima opera di Tsukamoto. Zan narra la storia di Mokunoshin (interpretato da Sosuke Ikematsu), un samurai senza padrone e senza onore (un ronin), che non è in grado di uccidere: al momento di compiere il gesto finale con la sua katana, qualcosa dentro di lui glielo impedisce. Incontrerà sulla sua strada l’esperto Sawamura (samurai interpretato dallo stesso Tsukamoto), che riuscirà a trasformarlo in un seminatore di morte.

Poco importa, per il senso del film, che i due debbano recarsi a Kyoto per combattere la Guerra Civile (siamo nel XIX secolo). Quello che rileva è invece la domanda che percorre tutto il racconto: qual è il senso dell’uccidere?

Il quesito attanaglia il giovane Mokunoshin, che solo alla fine supererà le sue remore nell’impiego della katana. Ma, per questo, sarà necessario il sacrificio del maestro, solo metodo possibile per trasmettere l’insegnamento fondamentale.

Il concetto portato avanti dal regista in questo suo film è quello che, fino al momento in cui gli uomini vorranno interrogarsi su quale senso possa avere dare la morte, allora ci sarà ancora una possibilità di salvezza. A partire da quando gli esseri umani smetteranno di porsi questa domanda, invece, la non violenza sarà stata sconfitta per sempre.

Calligrafia, spada e sacrificio

Vi è un film cinese in particolare in cui questo concetto del sacrificio di se stessi contro la violenza è il filo conduttore di tutto il film.

Si tratta di Hero, il film wuxia, dove i ruoli principali sono interpretati da Jet Li, Tony Leung (ancora lui) e Maggie Cheung.

La trama del film è piuttosto semplice: nel 201 a.C., quella che oggi conosciamo come Cina è suddivisa in 7 Regni in guerra tra loro. Il Re di Qin è il più crudele e spietato, oltre che il più forte, e i migliori guerrieri cercano di assassinarlo. Per questo motivo, da diversi anni vive recluso nel proprio palazzo, protetto da migliaia di guardie armate. Nessuno può avvicinarsi a lui a meno di 100 passi.

Questo fino a quando, Senza Nome, interpretato da Jet Li, sostiene di aver ucciso i più pericolosi tra gli attentatori del re: Cielo, Neve che Vola e Spada Spezzata. In realtà, lo scopo della sua visita è quello di uccidere il crudele Qin. Ignaro di tutto ciò, per premiarlo, il re di Qin gli consente di avvicinarsi a 10 passi, distanza dalla quale Senza Nome può raccontare al re come ha eliminato i nemici.

Da 10 passi, però, Senza Nome è perfettamente in grado di uccidere Qin con la propria katana: il guerriero, però, ma vi rinuncia proprio all’ultimo momento.

La non violenza come sola risposta alla violenza

Anche se il ruolo principale sembrerebbe essere quello di Jet Li, in realtà è Spada Spezzata (Tony Leung) a dare l’impronta maggiore alla storia. È infatti grazie prima alla sua meditazione, tramite lo studio della calligrafia e della spada (katana), e poi grazie al sacrificio di se stesso, che riesce a trasmettere un messaggio fondamentale: uccidere il re di Qin, ne porterebbe sul trono un altro, altrettanto crudele; e i massacri di soldati non avrebbero mai fine.

Grazie a Spada Spezzata e al suo sacrificio, Senza Nome capisce che non deve uccidere il re, il quale, recependo il messaggio, riappacificherà i sette regni unendoli sotto l’Impero di Cina.

Ecco quindi che tanto in Hero, quanto in Zan, il sacrificio, visto come la rinuncia di utilizzare la katana, anche a costo di porre termine alla propria vita, gioca il ruolo principale del film.

E il senso che i due registi, il giapponese Tsukamoto e il cinese Zhang Yimou, vogliono trasmettere agli spettatori in sala è sempre lo stesso: la violenza porterà sempre e solo altra violenza.

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