Di anni ne sono passati tanti dalla prima volta che ci siamo conosciuti. Cinquanta, cinquantadue? Di più? Lui era un sacerdote, gesuita, tra l’altro assistente dei boy scout. Un personaggio “dolce” ma determinato. Ricordo che allora la sua “sede” era presso l’Istituto Pontano di Napoli. Era anche l’assistente spirituale del gruppo scout Napoli 2°. Quel gruppo era frequentato da ragazzi di buona famiglia. Padre Ernesto Santucci s.j., questo il suo nome, poteva starsene tranquillo al Pontano a confessare, celebrare, assistere. Insomma, fare il prete e basta. Ma per lui la sua missione era ben altra cosa. Era stare con “gli ultimi tra gli ultimi”, con “lo scarto” umano. Ricordo un tour degli scout della provincia di Napoli di diversi giorni a piedi nel parco nazionale d’Abbruzzo. Credo di aver capito allora che padre Ernesto presto si sarebbe impegnato in altre realtà, in mondi a lui sconosciuti.
Cominciò a girare per i Quartieri Spagnoli di Napoli, a seguire i tanti piccoli delinquenti che ruotavano in quelle zone. Provava a tirarli fuori dai giri pericolosi che bazzicavano. Andava a trovarli in carcere per confortarli, per dargli il calore di una famiglia troppo spesso assente.
L’esperienza dei Quartieri Spagnoli lo portò a fondare una Comunità terapeutica: “Il Pioppo” a Somma Vesuviana. Disintossicare e salvare la vita a tanti giovani drogati divenne il suo obiettivo prioritario. Certo, le difficoltà erano tante, la mancanza di soldi, di aiuti, ma soprattutto lo scetticismo dei soliti benpensanti: “Chissà se questo prete non è aiutato dalla camorra…”. La tentazione di lasciar perdere tutto spesso l’assaliva nelle tante notti insonni. Poi però il ricordo dei “suoi” ragazzi “che non sanno a chi, a che cosa aggrapparsi”, prende il sopravvento nel suo cuore. “E allora si lavora insieme, si fatica insieme, si piange insieme, ci si sostiene l’un l’altro”.
Lui, padre Ernesto, la definisce “una grande grazia” essere arrestato e vivere qualche tempo nel carcere di Poggioreale dove tante volte era entrato “a portare fede e a consolare”. L’entrata in carcere fu dovuta al suo convincimento, un po’ ingenuo, che un giovane implicato in una rapina conclusasi con un omicidio fosse innocente. Con il solito impegno cercò di dimostrare la fondatezza delle sue idee. Quell’impegno e quella determinazione vennero interpretati da un magistrato come collusione e padre Santucci fu spedito a Poggioreale. “Il Signore Gesù – afferma padre Ernesto – mi rendeva scarto perché potessi capire sempre più a fondo ciò che significa questa parola. Mi invitava a seguirlo fino al Calvario, fino alla Croce”. Da “indagato” non può più essere il legale rappresentante della comunità il “Pioppo”. Si dimette, ma non si ferma, anzi. “Sono uno scarto – afferma -, ma il Signore fa di me grandi cose. Orienta il mio nuovo cammino verso l’Albania”. Un paese, l’Albania, che scarica sulle nostre sponde adriatiche migliaia di uomini sporchi e stracciati, “veri scarti”.
In Albania ci rimane circa venti anni ad assistere “gente che non ha acqua, non ha luce, che vive in una indigenza inconcepibile per chi viene dall’Italia, terra del benessere. Ma è una povertà dignitosa e che incanta”. Padre Ernesto, come al solito, si dà da fare, non solo per alleviare le sofferenze dei poveri ma anche per portare avanti la sua missione di prete cattolico. Quando gli è possibile costruisce nuove chiese. Anche se all’estero non interrompe mai i rapporti con i suoi vecchi amici. Sapendo che mi occupavo di olivicoltura mi chiese se era possibile che gli facessi avere delle piante di olivo per i terreni antistanti le chiese che stava edificando. Lo accontentai.
Qualche anno fa padre Ernesto è ritornato in Italia. L’età avanzata non gli consentiva più di stare in trincea. Penso che i suoi superiori l’hanno spinto al passo del ritorno nel nostro Paese. Se fosse stato per lui avrebbe continuato la sua dura vita di sempre in Albania. E la prova di quanto sto sostenendo viene dal suo libro: “Io sono un Albanese”.
L’ultimo suo libro “Lo scarto”, scritto insieme a Francesco Bellofatto – giornalista, saggista e docente all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli -, in cui racconta le storie di Gigino e Salvatore, è anche la sua biografia. Quella di un uomo, di un sacerdote che per tutta la vita si è impegnato ad essere ”uno scarto”.
Elia Fiorillo