“Con il termine prostituzione si definisce l’attività abituale e professionale di chi offre prestazioni sessuali a scopo di lucro. Si tratta di un fenomeno antico, ma che ha avuto cambiamenti interessanti dal punto di vista sociologico, semiologico, psicologico, fenomenologico e della psicologia sociale, giungendo a interessare l’ambito stesso della psicopatologia”. Si è espressa così in merito al complesso e sempre attuale fenomeno della prostituzione la dottoressa Ester Di Rosa, psicologa e psicoterapeuta. La nota professionista ha analizzato la questione in ogni suo aspetto e ripercussione sociale. “Una prostituta deve sottoporsi – ha precisato lo dottoressa Di Rosa – a rapporti con diversi individui, senza scelta, senza partecipazione al piacere.
È certo che alcune cause possono essere responsabili di una prostituzione occasionale, o possono favorirla, come l’ambiente, la famiglia, la miseria, ostacoli di varia natura, oppure caratteristiche di personalità (credulità, suggestionabilità, distorta proiezione per il futuro). Nelle professioniste, tuttavia, sono reperibili motivazioni più complesse e profonde, come sentimenti di colpa e un desiderio di ottenere passivamente l’affetto e il sostegno degli altri, e reazioni aggressive, rivolte (sotto forma di disprezzo) verso sé stesse attraverso reazioni autopunitive. Queste caratteristiche sono simili a quelle che si riscontrano in soggetti affetti da nevrosi d’angoscia e da depressione. E, in effetti, l’accostamento al fenomeno della prostituzione giustifica e suppone che nelle motivazioni della scelta (e del mantenimento) giochino, con portata quantitativamente diversa, meccanismi ed elementi simili a quelli che spiegano la depressione: perdita dell’autostima o anche di quegli appoggi che servono a mantenerla e ad accrescerla.
Perciò la prostituzione stessa non sarebbe altro che l’espressione, di una sindrome di precoce carenza affettiva che impedisce alla persona di progredire a stadi di differenziazione e a ulteriori fasi di sviluppo emotivo. Gli uomini frequentano le prostitute o per curiosità o per mettere alla prova le loro capacità sessuali, per ottenere un successo laddove una carica ansiosa ne limita l’esplicazione, o per variare l’oggetto del piacere. Nel rapporto mercenario si trovano individui che temono il confronto con la donna normale, o anche soggetti che hanno avuto degli insuccessi e che non vogliono ritentare un altro incontro prima di superare la loro difficoltà. Esistono situazioni conflittuali (il giovane alla sua prima esperienza sessuale), dati caratterologici (un sentimento di inferiorità) e particolari stati di menomazione fisica nei quali la presenza della prostituta viene avvertita come un aiuto per un proprio disagio; come è ovvio, senza risolvere gli elementi nevrotici presenti nell’individuo. quando un minore offre “volontariamente” servizi sessuali lo fa perché indotto da situazioni oggettive e cogenti, in primis la povertà. Solitamente i minori prostituiti provengono da situazioni di emarginazione e di miseria, non a caso, la maggioranza di essi ha origini umili.
Ma al degrado economico e sociale si affianca il deterioramento familiare. Infatti, in tutto il mondo la vulnerabilità dei bambini rispetto allo sfruttamento sessuale risiede innanzitutto nelle condizioni di vita e familiari, sia economiche sia emotive.Al contrario di quanto comunemente succede, nei bambini/adolescenti che appartengono ad un ceto medio-alto per i quali la prostituzione può essere considerata una scelta autonoma dettata da una forte ribellione interiore, da un grande bisogno di trasgredire che nasce dalla speranza di attirare l’attenzione, classico adolescenziale, di una famiglia distante e disattenta, e di colmare un vuoto esistenziale attraverso la conquista di una disponibilità economica che consenta un facile acquisto di beni. Equivale a dire che l’adolescente afferma se stesso attraverso il denaro facile e per questo si sente un adulto. Si tratta di rispondere a delle esigenze dettate dal consumismo vigente nella società contemporanea dove il denaro può tutto, o piuttosto una questione di breakdown adolescenziale? Forse, una commistione di cause. Spesso sono minori che appartengono ad ambienti familiari deteriorati, disfunzionali, inesistenti, dove ogni membro è sempre impegnato in qualcos’altro di più importante al punto da non vedere il figlio, non considerarlo e non parlare con lui. Si valutano scontati degli aspetti di vita quotidiana che in realtà non lo sono affatto, e il non detto diventa la copertura e il falso consenso al comportamento inadeguato .Fondamentale intervenire in un micro sistema in espansione attraverso la divulgazione delle informazioni e soprattutto concentrare l’attenzione sui pensieri e sui comportamenti dei ragazzi in modo da evitare di complicare le già presenti difficoltà”.
Alfonso Maria Liguori