Scheletri rivoltati, stravolti, trascinati senza riguardo da tombaroli alla ricerca di oggetti preziosi, con cui i pompeiani si accompagnavano nel tentativo disperato di fuga dall’eruzione.
Non è bastata l’orrenda fine riservatagli dalla tragedia, ma le vittime di Pompei hanno dovuto subire anche la profanazione di saccheggiatori che già in epoca moderna si addentravano attraverso cunicoli e passaggi nella cenere e nel lapillo che aveva seppellito la città antica, per rintracciare oggetti di valore in domus inesplorate.
Riaffiorano così, in una stanza della “Casa del giardino” di recente scavo, i resti scheletrici di almeno 6 individui, ammucchiati e sparpagliati in più punti dell’ambiente.
Ed ecco perché, ancora in situ, il cranio di una delle vittime, schiacciato dalle tegole del tetto, giace accanto agli arti inferiori e superiori di un altro individuo, mentre resti di un anello indossato al dito e altri piccoli oggetti stretti tra le mani, sfuggiti al saccheggio del luogo, riaffiorano lontani e non in connessione con il resto del corpo.
I pompeiani avevano cercato rifugio nella stanza più interna della casa, che, a differenza delle altre, aveva resistito alla prima fase dell’eruzione (la caduta dei lapilli). Erano stati poi colti da una delle correnti piroclastiche che travolse gli ambienti della casa ancora affioranti dai lapilli, provocando il crollo del tetto e della parte superiore del muro nord dell’ambiente.
La presenza di uno o più cunicoli di scavi precedenti (forse anteriori all’inizio delle ricerche ufficiali del 1748), che hanno causato lo sconvolgimento degli scheletri intercettati, è indiziata anche da fori nelle pareti.
Tali rilevamenti stanno consentendo, grazie agli interventi in corso, di documentare con grande dettaglio la storia di un’epoca di scavo, (da quelli clandestini a quelli di epoca borbonica) completamente differente da quella attuale, tanto nell’approccio metodologico che nelle finalità stesse.