Giggino Di Maio e la malattia incurabile di nome Matteo

Mentre Giggino deve fare i conti con le tante anime del suo MoVimento, il Matteo ex padano nella Lega non ha rivali, nessuna voce di dissenso verso di lui.

C’è chi maledice l’assoluzione per falso ideologico della sindaca di Roma Virginia Raggi. Chi, invece, per converso esulta di gioia. Capita in situazioni del genere che si formino due partiti, quelli a favore e quelli contro. Ma, nel caso in questione, non è “tutto oro quello che luce”. Ovvero, certe dichiarazioni di gaudio sono dettate dall’opportunità politica e non dal convincimento personale.

Per il proscioglimento di Virginia Raggi l’esultante per antonomasia è stato Giggino Di Maio. Prima della sentenza aveva tirato in ballo il regolamento dei 5Stelle. In caso di condanna dimissioni da sindaco tout court. Sulla possibile andata via dell’ingombrante prima cittadina di Roma la mente fertile del vice presidente del Consiglio ci aveva ricamato su. Se veramente la Capitale fosse tornata alle elezioni i grillini non potevano fare brutta figura. Già ne avevano collezionato ad iosa con la prima donna sindaco di Roma. Si doveva andare al voto con un nominativo vincente. Lui, Luigino, era già impegnato a guidare il MoVimento, a fare il  ministro dello Sviluppo economico, del Lavoro e delle politiche sociali, nonché vice presidente del Consiglio dei ministri. Si poteva – meglio doveva – candidare per quella carica il “vacanziero”, di ritorno, Dibba, ovvero Alessandro Di Battista. L’avrebbe finita così di rompere…. C’era anche il fatto da non sottovalutare che l’amico-nemico Salvini si era messo in testa di contare di più a Roma. Stava cercando una sede quanto più decorosa possibile nella Capitale per la sua Lega non più separatista. Anzi, più che unitaria. “Nord e Sud uniti nella lotta”… salviniana, ovviamente.

Luigino già vedeva Dibba alle prese con la montagna di problemi che avevano sfinito la signora Raggi. Stavolta non c’era da scrivere un articolo o un romanzo, ma gestire una città. Anche Beppe Grillo ha ipotizzato un addio di Virginia. Recentemente ha dichiarato: “Si è vista archiviare 360 denunce. Ha perso 14 chili. Le conveniva mollare per sopravvivere”.

La giustizia ha fatto il suo corso assolvendo la sindaca e cancellando le speranze di Di Maio. In situazioni del genere, quando ti sei costruito in testa un percorso operativo più che credibile, a tuo avviso, eppoi tutto va a rotoli, la rabbia ottunde il cervello. E così il vice presidente del Consiglio scarica la sua collera sui giornalisti, dimenticando che possiede una tessera di “pubblicista” di cui una volta andava fiero. Stavolta l’Ordine dei giornalisti della Campania, dove Di Maio è iscritto, non ha potuto più sorvolare alle affermazioni contro la categoria di un suo iscritto. Il comunicato dell’Ordine è lapidario: “In relazione alle affermazioni del vicepremier e ministro dello Sviluppo, Luigi Di Maio, giornalista pubblicista, iscritto all’Ordine della Campania, rilasciate in seguito all’assoluzione del sindaco di Roma, Virginia Raggi, l’Ordine della Campania – dice il presidente, Ottavio Lucarelli – seguirà le procedure previste dalla normativa vigente. Pertanto anche ‘dopo le numerose segnalazioni giunte gli atti saranno trasmessi al Consiglio di disciplina regionale, così come previsto dalle norme’”. Se ci dovesse essere radiazione ancora una volta Di Maio griderà al complotto contro di lui dei soliti noti “pennivendoli”.

Mentre Giggino deve fare i conti con le tante anime del suo MoVimento, il Matteo ex padano nella Lega non ha rivali, nessuna voce di dissenso verso di lui. L’unico che prova a remargli contro è l’Umberto Bossi, per quel che conta. Un candidato dittatore? Così lo definisce il suo ex amico Silvio Berlusconi. E arriva pronta la risposta del Capitano: “Il clima illiberale lo vede solo lui con qualche burocrate di Bruxelles e qualche frustrato del Pd”.

Per il capo politico dei 5Stelle Salvini è ormai una malattia incurabile. Dalla semplice influenza si è passati mano mano a qualcosa di più serio che va affrontata con determinazione. Il pretesto della rottura potrebbero essere le “grandi opere”, a partire dalla Tav, caldeggiate da Salvini e boicottate dai 5Stelle. Ma l’opinione pubblica è frastornata sull’argomento, non ha ben compreso le ragioni del “no” alle grandi infrastrutture a favore delle iniziative per rendere le città più vivibili sostenute dal MoVimento. Se Di Maio non s’inventa qualcosa prima delle elezioni europee per invertire la rotta e per bloccare la “malattia”  di nome Salvini per lui non ci saranno speranze di guarigione, ma non solo per lui.

Elia Fiorillo

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