Di venerdì, e non ricorreva alcuna festività, di giornalisti all’hotel Ramada di Napoli ce ne erano proprio tanti. Duecento? Di più? Si trattava di una riunione insolita per rimarcare un’ingiustizia commessa proprio da chi, per statuto, era obbligato a combattere le iniquità commesse a danno dei propri iscritti. Appunto la FNSI, la Federazione della stampa, il sindacato “unico e unitario” dei giornalisti. L’accusa dei manifestanti era grave. Non aver accettato 150 domande d’adesione al sindacato, con le relative quote d’iscrizione, consegnate dallo storico rappresentante dei pubblicisti campani, Domenico Falco. Le cose, su per giù, erano andate così. Falco, con un collega, si presenta nella sede del sindacato napoletano. Presenta le istanze d’iscrizione che sono in un primo momento accettate. Poi le richieste di adesione vengono ad una ad una analizzate, pare anche con l’aiuto di un grafologo, per controllare la veridicità delle firme poste in calce. Qualcosa non va. Parte una denuncia all’autorità giudiziaria. Alcuni sottoscrittori ricevono telefonate dai rappresentanti delle Forze dell’ordine per la conferma della firma in calce all’istanza. Ne nasce un bailamme epico, con accuse reciproche e con lettere di avvocati che “precisano, puntualizzano, rigettano”, e chi più ne ha più ne metta. Certo Domenico, detto Mimmo, Falco è stato superficiale. Non si era posto il problema che 150 nuovi soci avrebbero fatto saltare gli equilibri nella FNSI. Per converso però i rappresentanti del sindacato, invece di fare la cosa più semplice e logica di questo mondo, chiedere a Falco che ogni giornalista si presentasse alla sede del sindacato per sottoscrivere l’iscrizione, hanno montato il caso.
C’è da dire che alcuni di quei giornalisti che oggi richiedono l’iscrizione, in passato hanno ricoperto cariche importanti nella FNSI: da probiviri, a consiglieri nazionali, a membri del Comitato esecutivo, a sindaci. Poi, un brutto giorno, vennero, dalla dirigenza nazionale di allora, cacciati tutti. Sì, buttati fuori perché provenienti da una terra contaminata che si chiama Campania. Infettata da che? Da un’ingiunzione del Comune di Napoli che chiedeva alle strutture locali del sindacato e dell’Ordine tre milioni di euro di fitti non pagati per l’utilizzo della sede di proprietà del Comune di Napoli, che per tanti anni era stata ubicata nella villa comunale.
La “paura” al lotto fa novanta, ma per la dirigenza di allora della FNSI quel novanta dovette essere moltiplicato per mille, se non di più. Fatto sta che da un giorno all’altro, senza sentire ragioni, il “democratico” (sic!) sindacato dei giornalisti caccia dalle sue fila tutti gli esponenti della Regione Campania. Senza porsi alcun problema dell’inamovibilità di soggetti democraticamente eletti a sindaci, a probiviri, a membri dell’esecutivo e via dicendo. In questo modo, ad avviso di chi aveva ipotizzato l’operazione, il Comune di Napoli non poteva rifarsi sulla FNSI per ottenere i fitti non pagati. A lume di logica, e di diritto, se il Comune di Napoli poteva avanzare pretese risarcitorie sulla struttura nazionale del sindacato per debiti contratti dalla periferia napoletana non sarebbe bastata una cacciata dell’ultimo momento per risolvere il problema. Chissà, la faccenda debitoria poteva essere un buon motivo per mettere da parte una Regione che era stata sempre determinante nelle definizioni delle leadership.
Per anni, fino alla sua morte, il campano Mimmo Castellano è stato il leader indiscusso dei pubblicisti italiani, segretario generale aggiunto della FSNI. Ripeteva spesso la frase un po’ folcloristica: “Dobbiamo stare affasciati, affasciamoci…”. In un ricordo di Castellano dice di lui l’attuale presidente del sindacato dei giornalisti, Peppe Giulietti: “Ieri come oggi, l’invito di Mimmo a restare «affasciati» ci sembra sempre e comunque di straordinaria attualità e da non dimenticare, neanche per un attimo”.
“Un’intesa di carattere permanente per la difesa degli interessi della categoria giornalistica che sono profondamente legati agli interessi ed alle aspirazioni dei lavoratori italiani di tutte le categorie”. Così si espresse il primo convegno nazionale dei giornalisti italiani – un vero e proprio Congresso – che si svolse a Palermo dal 5 al 9 ottobre 1946. Fu questa una delle motivazioni che spinsero i sindacati confederali dell’epoca a ipotizzare il “sindacato unico ed unitario dei giornalisti”, al di fuori delle logiche ideologiche dell’epoca.
I tempi cambiano e certe scelte del passato, dettate da giuste preoccupazioni, possono ritenersi superate. La democrazia è pluralismo ed i sindacati “unici ed unitari” sono un’altra cosa.